MONCALIERI – Sanità malata, strutture fatiscenti, personale sgarbato e demotivato.
Spesso, troppo spesso, storie di questo tenore affollano le pagine dei giornali. Questa volta abbiamo raccolto una testimonianza di segno totalmente opposto.
«Sabato scorso mia madre, 78enne, ha subito una frattura ad una vertebra lombare – esordisce così Silvia Magliano, trofarellese doc – E’ stata accolta al Santa Croce di Moncalieri. Lì abbiamo passato tre giorni in pronto soccorso, sino al lunedì, unica giornata nella quale è stato possibile procedere con la posa di un busto, cui è seguita la possibilità di lasciare la struttura ospedaliera. Il mio primo pensiero, al termine di questi tre giorni di fuoco, è stato quello di sentire come un dovere il portare la mia testimonianza sull’ospedale e sul suo personale». (segue)
Lei ha detto di voler portare un racconto di gratitudine, ma le premesse non sembrano essere le migliori. Tre giorni in pronto soccorso per una frattura? Ci spieghi meglio.
«Premetto, per chi non conoscesse la struttura, che non si può certo definire d’avanguardia. L’ortopedia nel fine settimana è chiusa, e per questo motivo siamo rimasti per tre giorni consecutivi in pronto soccorso. Brutta struttura, brutto ambiente. L’aria è pesante, i pazienti che vi si recano talvolta maleducati, per non dire aggressivi. Taluni pretendono di avere precedenza per delle sciocchezze mentre in quel momento, per esempio, i medici stanno salvando la vita ad un infartuato – e prosegue – Ciò nonostante la preparazione e l’umanità dimostrata da tutto il personale medico ed infermieristico hanno lasciato in me e nella mia famiglia una tale gratitudine che voglio loro rendere merito pubblicamente».
Cosa hanno fatto di tanto speciale medici ed infermieri?
«Quello che forse ci si aspetterebbe, ma che non sempre capita, e che forse non fa notizia. I medici hanno seguito mia mamma con attenzione e scrupolo, non fermandosi alla prima lastra ma approfondendo a fondo con ulteriori accertamenti. Gli infermieri, come i medici, sono andati molto oltre quello che sarebbe il loro compito “tecnico”. Sono stati vicino a noi, come agli altri pazienti, con umanità, gentilezza ed attenzione. Sempre, non perdendo la pazienza nemmeno con alcuni soggetti che avrebbero avuto ogni motivazione per essere cacciati senza tanti complimenti – e sottolinea – Ho visto tanta umanità nell’orrore. Ho visto tutti lavorare con il cuore, nonostante le pessime condizioni. Ho solo un rimpianto: ho domandato ad una infermiera dove “comprassero” la pazienza, ma non ha voluto rivelarmi il loro segreto».
Sandra Pennacini