I ritorni del cuore – Capitolo 6

Francesca

Quadratino rosa

(Trofarello 1990) Aveva salutato la sua vita a Brescia alla grande. Il concerto di Vasco a San Siro con i compagni del liceo era stato memorabile.Non era mai successo che un artista italiano riuscisse a riempire quello stadio. Un pezzo di storia, e lei c’era, a cantare Albachiara così forte da farsi venire le lacrime.albachiaraEra stata l’ultima parentesi lombarda, poi erano scattati i frenetici preparativi. Avevano letteralmente smontato casa. Mamma e papà direzione Cina (ancora stentava a crederci), Francesca direzione Trofarello – che strano abbinamento. Quella mattina di metà settembre il freddo cominciava a farsi sentire. Il giubbotto di jeans forse non era abbastanza, ma tanto da lì a qualche minuto sarebbe salita sul treno. Aveva studiato il percorso con attenzione, non sarebbe stato difficile raggiungere Palazzo Nuovo. Le ultime formalità e poi sarebbe stata ufficialmente una studentessa universitaria. Veramente comodo il flusso di treni verso Porta Nuova, andare in città non sarebbe stato un problema. C’era già una discreta confusione al binario cinque, tra persone chiaramente in procinto di recarsi al lavoro e ragazzi di tutte le età.Era arrivata da così poco tempo che non era ancora riuscita a farsi degli amici. Ma non se ne preoccupava, a breve avrebbe conosciuto un sacco di persone in facoltà. Un po’ si era stupita. Trofarello era davvero cambiata. Forse i suoi ricordi di bambina la ingannavano, ciò che le era rimasto in mente era un piccolo paese nel quale si conoscevano tutti e dove non mancava occasione, uscendo, di incontrare una faccia amica. Invece non aveva ritrovato nulla di quella sensazione di casa che si era aspettata.Anche lì, in stazione, con la musica del walkman a farle compagnia, si sentiva un po’ tagliata fuori, mentre gruppi di ragazzi chiacchieravano rumorosamente ad un passo da lei.Si sentiva un po’ sola. Diversa, con la sua cadenza lombarda, che non aveva mai notato, ma che senza dubbio gli altri notavano subito in lei. Diversa nei vestiti. Diversa nei modi di dire. Le pareva persino di ascoltare musica diversa. Un sottile disagio si stava impadronendo di lei. Quando le toccarono leggermente la spalla, tra la musica nelle orecchie e il senso di vuoto nel cuore, era talmente su un altro pianeta che non poté fare a meno di sobbalzare.”Scusa… Non volevo spaventarti è solo che….”Quel ragazzo che adesso la fissava stranamente senza dire nient’altro le aveva davvero fatto venire un colpo.Ma che voleva?Indispettita preparò una delle sue frasi taglienti, quelle che le venivano così bene quando voleva allontanare qualcuno. Le “frasi cianuro” le chiamava suo papà, e aveva ragione. Quel ragazzone smilzo continuava a guardarla con una strana espressione inebetita.  Decise di togliersi le cuffie e scoprire che cosa volesse.Fu in quel momento che lui si passò la mano in quella zazzera di capelli che aveva in testa, scoprendo un buchino sulla fronte, quel buchino sulla fronte. Un flash, e fu subito casa. Un attimo dopo Francesca gli buttava le braccia al collo saltellando come una matta per la felicità. Enrico! …. Non avrebbe potuto sperare di più.

Enrico

Quadratino blu

(Trofarello 1990) Non aveva molta voglia di uscire quella mattina di metà settembre con il freddo che aveva da qualche giorno lasciato il posto al delizioso frescolino che in cuor tuo ti aspetteresti da un’estate leale che sta finendo.Invece quella mattina era davvero palese che l’estate stava finendo come declamava impietoso il tormentone che cinque anni prima aveva fruttato ai fratelli Righeira la vittoria al Festivalbar.Vestito solamente con una maglietta a maniche corte su cui aveva buttato sopra un giubbotto leggerissimo, Enrico sentiva quel venticello accarezzargli la fronte. Non aveva freddo, non ne aveva mai ed infatti i piumoni e i giacconi pesanti erano da tempo immemorabile lasciati a languire nell’anta meno frequentata dell’armadio, quella dove anni dopo andavi a tirare fuori capi che non ti ricordavi di aver acquistato, di due o tre misure più piccole e dai colori davvero improponibili.Aveva buttato in uno zainetto un blocco di fogli, un paio di penne – che come al solito non aveva provato e che avrebbe scoperto non funzionare quando avrebbe iniziato a prendere appunti – e una rivista di videogiochi fatta arrivare da un’edicola del centro di Torino direttamente dall’Inghilterra.L’inglese non era un problema e proprio questa passione per i videogiochi, quelli avventurosi, fatti di moltissimo testo e poca grafica, lo aveva aiutato molto con la sintassi, l’apprendimento di nuove parole e la costruzione tipica delle frasi di uso comune. Computer and Video Games aveva una rubrica bellissima dedicata alle avventure curata dal mitico Keith Campbell che un giorno lui avrebbe voluto conoscere.A parte questi piccoli oggetti, iniziava la sua avventura in Economia e Commercio con nient’altro. La voglia sì, c’era, ma era più il desiderio di conoscere gente nuova e di muoversi in un ambiente sconosciuto tutto da esplorare piuttosto che passione per la materia in sé.Un po’ come vivere in uno di quei giochi che gli piacevano tanto, con l’insignificante differenza che non potevi salvare la tua situazione prima di fare qualcosa di sbagliato o di pericoloso.Dalla piazza centrale del paese ci impiegava solo cinque minuti ad arrivare in stazione, percorrendo via Roma a grandi passi ma, guarda caso, arrivava a prendere il treno sempre per un pelo.E quella mattina non era certo un’eccezione. “Devo decidermi a mettere la sveglia un quarto d’ora prima” si ripropose mentre il capotreno gli faceva cenno di sbrigarsi prima di fischiare la partenza.locomotore tartarugaCe l’aveva fatta. Adesso il fedele locomotore Tartaruga lo avrebbe portato fino a Torino. Enrico era un amante dei treni e i locomotori che in quegli anni la facevano da padrone erano due: la Tartaruga e il Caimano, con i simboli dei due animaletti in corsa sulla fiancata.Non era solito andarsi a sistemare nello scompartimento e rimase quindi nel disimpegno davanti alle porte. Immediatamente alcuni pensieri incominciarono ad affollarsi nella sua mente: le due penne raccattate velocemente nel cassetto scriveranno? E se come al solito non funzionano troverò una vicina di posto carina e previdente a cui chiederne una in prestito?Ma quasi subito la sua attenzione fu catalizzata da una ragazza di spalle intenta ad ascoltare musica sul suo walkman.Aveva un qualcosa di familiare, quel collo regale, quei capelli che le scendevano morbidamente sulle spalle, quel nasino perfetto e quegli occhi che aveva intravisto mentre si era girata per un attimo verso le porte.Non ne era sicuro, lui che non era molto fisionomista ma il suo cuore iniziò a battere più forte. Il suo cuore l’aveva riconosciuta. Quella ragazza era / sembrava/ era Francesca! Il suo cervello consigliava prudenza per evitare una ennesima figuraccia ma il suo cuore non voleva sentire ragioni.Si fece coraggio e la chiamò toccandole la spalla. Si preparò ad una occhiataccia e a balbettare alcune scuse di circostanza mentre si passava timidamente una mano tra i capelli ma quando vide il suo viso illuminarsi capì che il cuore, molto spesso, ha ragione.Sentì le sue mani infreddolite stringergli il collo ma non notò nemmeno la differenza di temperatura. Il suo corpo era pervaso da un calore strano che veniva da dentro, dal profondo.Non c’era più la facoltà quella mattina, non c’erano più i videogiochi, né le penne scariche e la vicina premurosa, neppure la Tartaruga che veloce li portava nel ventre di Torino.C’era solo la sua principessa, la sua compagna di banco adorata, il pezzo di anima che gli avevano strappato all’improvviso come un cerotto da una ferita ormai guarita.Francesca… il cuore non sapeva se fermarsi o battere all’impazzata, quel giorno una parte di mondo gli era stata restituita

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