Francesca
La visita alla nuova Rodari si era rivelata più interessante e proficua di quanto avesse immaginato. Aveva parlato con la dirigenza scolastica, scoprendo un mondo frizzante, pieno di idee innovative. Supportate alla perfezione da uno staff motivato e da un buon spirito collaborativo da parte dei genitori. Francesca si era subito trovata in sintonia. Per lei il motto è, ed era sempre stato, “fare, fare ed ancora fare”, e questa atmosfera l’aveva ritrovata nella scuola.
Poteva godersi il resto della giornata. Nessun appuntamento in studio, il lavoro a Torino era appena in fase iniziale. Aveva tempo per se stessa. Decise di andare a comprare il giornale e come sempre non resistette alla tentazione della pasticceria. I cannoli, quei cannoli leggendari, la chiamavano. Avrebbe rimediato con qualche pedalata in più. Ecco, il bello di Trofarello. Bici e via, in un attimo strade e strade da percorrere nel verde. Certo, meno di una volta. Ma per chi ha vissuto per tanti anni a Brescia… beh. Nel paragone il piccolo paesello usciva vittorioso, senza discussioni.
Guardò le vetrine. Una mascherina, un uomo ragno, un pirata. Sorrise. Carnevale si avvicinava.
1980
“Ahy! Maestra! Che MALE!”
“Francesca insomma sei una signorina, dovrai truccati mille volte da grande! Dai… stai ferma, che ti faccio male davvero altrimenti “ Quell’anno il tema del carro della sua classe era “i fantasmi”.
Era bastata quella mascherina di Carnevale per riportarla indietro nel tempo. Un lungo lenzuolo con i buchi, gli occhi truccati pesante “che fa più paura”. Povera maestra, a ripensarci bene era un gran lavoro vestire tutti noi, truccarci, tenerci d’occhio durante la sfilata affinché nessuno si facesse male. I trattori le sembravano così grandi… Che emozione grande era stata! Il Carnevale piace sempre ai bimbi, oggi lo sapeva. Ma esserne parte, beh, quello era davvero speciale. Caramelle e coriandoli volavano da tutte le parti. Chissà se c’era ancora quel bellissimo Carnevale a Trofarello? Ma certo che c’era. … chi mai avrebbe pensato di rinunciarvi? Cercò di mettere a fuoco i ricordi. Un carro trainato da un trattore. Semplice, poche cose. Ma tanti bambini in festa. E genitori. E nonni. E grandi sorrisi. C’era Paola, la sua compagna di banco. Quanto mangiava! Non c’era una bugia che sfuggisse alle sue attenzioni. C’era Marco, lo scatenato della classe. Già. .. lui e suo fratello più grande, armati di schiuma da barba. Odiosi. I suoi occhi avevano bruciato per giorni dopo che l’avevano centrata in pieno. E c’era Enrico. Fantasma pure lui, ovviamente.
Non si lasciavano mai. Una di quelle amicizie che ti dici: “sarà per sempre”.
E quando lo dici ne sei profondamente convinto. “Giurin giuretto mi cascasse il naso, amici per sempre!” Se lo erano promesso, proprio in uno di quei giorni di Carnevale, quando finita la festa della scuola si andava a vedere i carri che arrivavano da tutti i paesi vicini. La grande sfilata di Trofarello. E poi bis a Moriondo. Tutti in costume. L’avevano vestita da principessa. In verità lei avrebbe voluto vestirsi da Zorro. Così eroico. Così altruista. Così affascinante. Ma sua mamma non aveva sentito ragioni: “Principessa, tu sei una principessa!”.
C’era davvero rimasta male … finché non aveva incontrato Enrico. Zorro. E con i baffi disegnati. Che bello.
Adesso anche lei aveva Zorro. Era lì che la teneva per mano, mentre una pioggia di stelle filanti li avvolgeva.
Enrico
Via Roma, ogni mattina, per anni e anni. Tanto che potresti percorrerla ad occhi chiusi riuscendo a capire a quali negozi stai passando a fianco: la farmacia, il calzolaio, la parrucchiera, l’enoteca, il negozio di fiori, il barbiere, la rosticceria e così via.
Però gli occhi quando sei fuori, quando stai bene in un posto e con le persone vuoi tenerli ben aperti, perché non sai mai con chi o cosa la Vita ha deciso di farti incontrare quel giorno.
Certo quando si andava alle elementari era diverso.
Un pezzo di via Roma percorso quasi tutta d’un fiato, poi l’attraversamento della strada davanti alla chiesa e quel campanello se lei non era già in strada. E poi insieme fino in classe, Enrico con il suo zaino e Francesca con la sua cartella, tenera e colorata. Cartella che quando lei sembrava stanca e preoccupata – per certi discorsi di partenze imminenti che sentiva pronunciare dai suoi – Enrico le aveva portato con fierezza, senza lamentarsi perché gli sembrava quasi di alleggerirle il cuore. Come quando andava a chiamarla nel pomeriggio per uscire fuori in bici o a guardare i carri a Carnevale, lui con il suo vestito da Zorro e lei da principessa.
Una strana coppia, forse non fatta per stare insieme – quando mai in una storia Zorro se la fa con una principessa? – eppure la sua spada non avrebbe esitato a proteggerla da qualunque pericolo si fosse parato dinanzi a lei, da qualunque persona avesse osato criticare il suo diadema, da chiunque avesse osato calpestare, anche solo per sbaglio, l’orlo del suo leggero vestito di tulle.
Ma se non erano fatti per stare insieme perché il destino li avrebbe messi sempre così vicini? Perché avrebbe fatto in modo che fossero uno di fianco all’altra, una dietro l’altro?
Nell’appello, ad esempio.
Enrico Ferrari seguito da quella Francesca Ferrero.
Nessuno che si inserisse tra di loro, nessuno a separarli, nessuno ad allontanarli…
Ferrari! Presente!
Ferrero! Presente!
Quasi ogni giorno in cinque anni, tranne quando lei aveva avuto la varicella ed era mancata diverse settimane. Ma tanto poi, subito dopo, era stato a casa anche lui per lo stesso motivo. Ma lui, per vederla al più presto, era voluto tornare a scuola un po’ prima e gli era rimasto quel piccolo buchino in fronte lasciato da quella crosticina che si era grattato via una mattina per convincere la madre che era guarito del tutto. Quel buchino su cui lei, ridendo, passava spesso il suo ditino da fata ripetendogli che era uno sciocco e che era stato davvero imprudente.
Ma lei in cuor suo lo aveva amato quel buchino perché lui se lo sarebbe portato dietro per tutta la vita e lo aveva fatto per lei. E poi la partenza, l’auto di grossa cilindrata, l’addio.
E i treni per il liceo, il morbillo.
Ma niente cicatrici qui. Niente che valesse la pena di essere ricordato, per cui valesse la pena rimanere segnato.
Ed ora l’università. Altri treni da prendere, da perdere. Magari altre ragazze da incontrare: altre Elisabette, Glorie, Claudie, Stefanie, Cinzie, Lucie.
Francesche no, non ci sarebbe stato posto. Una sola aveva occupato tutto il posto nel suo cuore.