Sognando una rielaborazione della manifestazione che il prossimo anno festeggerà 20 anni di vita
CENTRO – Sono tornato dalla Fiera dell’Amarena molto tardi, quando c’erano solo più i volontari che smontavano e riodinavano. Sono tornato un po’ stanco, un po’ triste ed ho fatto un sogno. Ho sognato un paese capace di tornare ad essere un ricettacolo di vitalità, di arte, di iniziativa, d’esempio. Ho sognato giovani ex, giovani beta, giovani 2.0 che costruivano la Trofarello del domani, la Trofarello che non c’è. Che collaboravano senza paura, senza sentire fatiche per la Fiera dell’Amarena 2.0.
Non una Fiera. LA Fiera.
Ho sognato che le associazioni e l’amministrazione si stringevano la mano, perché sono entrambe al servizio dei cittadini anche se spesso, troppo spesso, lo dimenticano. Perché un servizio funziona ed esiste se c’è un’utenza, se è pensato per qualcuno anzi, per tutti. A che serve preparare un autobus comodissimo, ultramoderno, con personale perfetto, simpatico, brillante se poi non c’è alcun passeggero? L’autista penserà che il servizio sia ottimo. Ma senza passeggeri esisterà un servizio?
Ho sognato persone “di dentro” capaci di uscire e guardare “da fuori” perché siamo navigatori, esploratori ma se lo rimaniamo solo per noi stessi non scopriremo mai nulla di cui andare fieri. E nel mio sogno c’erano giovani dell’associazione HPG che parlavano con i giovani di qualche ora prima dello Spazio Ex Fornaci per ricordare Gabriele ancora più forte, per farlo ridere da lassù, per sentirlo propio qua a battere le mani in mezzo a noi. E, perché no, per fare uno Spazio Ex Fornaci che sia fucina per temprare e formare chi ci farà divertire, ballare, emozionare domani.
Perché siamo qui per aiutare, donare e se manca la volontà nel volontariato cosa resta?
Ho sognato autobus che venivano a Trofarello a portare persone a condividere, non dividere, una festa. Persone di prima, seconda, terza età e oltre, finché la Vita ce ne darà occasione. E ho sognato che ballavano insieme, ridevano insieme, battevano le mani insieme. E ho sognato birre di ogni tipo per far volare la fantasia, che se non vola è solo lenta eutanasia, e per i giovani e non, cibi di strada per chi strada ne ha già fatta e chi di certo ne farà. E liquori, ceste, casse, concorsi, disegni, marmellate, grappe di amarene, dove l’amarena ci facesse perdere la testa, perché è la sua settimana, perché questa è la sua festa.
Ho sognato balere, non barriere, dove entrare senza pass, dove potersi divertire anche se avevi dimenticato il portafoglio a casa, che di questi tempi a volte non è dimenticanza ma cruda realtà.
Ho sognato di poter quasi piangere nel ricordare come è stata bella la nostra Fiera quell’anno o da quell’anno, fiero della Fiera, piccola scintilla in una notte nera, piccolo passo nell’incerto domani, con sempre vivo nella mente un intreccio di mani.
Ho sognato che un paese anagraficamente di non giovani non può diventare un paese PER non giovani, perché nel calendario della Vita non puoi cancellare il domani.
E mentre avevo ancora nella mente la fatica dei volontari, il sorriso, una battuta pur dopo giorni di lavoro, mentre ancora smontavano e ripulivano senza un attimo di ristoro, sognavo la Fiera di domani, la Fiera che verrà. Anche i sogni a volte possono diventar realtà.
Marco Andreoli