Francesca
Sì, un bel modo per iniziare la lunga giornata che l’attendeva.
Fuori la nebbia si tagliava con il coltello, ma Francesca non poteva fare a meno di sorridere.
Aveva appena riletto l’articolo de La Città, il settimanale locale. Fino a quel momento, nonostante fosse stata contattata da tutti gli organi di stampa, che si erano infiammati non appena la notizia si era diffusa, non aveva realizzato quanto scompiglio avesse creato il suo ritorno e la sua decisione di mettersi a disposizione della politica.
Dopo tutti quegli anni a Brescia la nebbia certamente non turbava il suo umore. Ma quando aveva saputo che il suo studio legale intendeva aprire una sede a Torino, che mancava all’appello un avvocato civilista e che quel posto poteva essere suo, aveva salutato con profonda gioia il grigiore lombardo. Finalmente l’occasione, nulla più la tratteneva lontana da quella che continuava a sentire come la sua vera casa.
Ritornare in Piemonte. Non aveva avuto dubbi, quella era la strada da seguire. Il piccolo centro in cui era cresciuta le era rimasto nel cuore, nonostante l’avesse lasciato quando aveva appena dieci anni. Quella vecchia villetta in collina che le piaceva tanto fin da bambina si era rivelata ancora in vendita; senza dubbio un segno del destino. Irrinunciabile l’occasione di poter godere del panorama delle montagne ogni mattina. Troppo affascinante la chiesetta dei Battuti, lì, ad un passo dall’uscio, ancora più bella oggi di allora.
Decise di rileggerlo quell’articolo, senza riuscire a trattenere una risatina. Pareva fosse accaduto un evento di portata mondiale… “CENTRO – Una svolta imprevista, un meteorite si è abbattuto sulla politica locale. Francesca Ferrero, nata e cresciuta a Trofarello, che ha lasciato con la famiglia in giovanissima età, è tornata, portando con sé un bagaglio di tutto rispetto quanto a carriera professionale. Avvocato di spicco nel Bresciano, dove ha abitato per anni, torna a vivere in città e in un attimo ribalta equilibri che sembravano ormai definiti. Si candida a sindaco a capo di una lista tutta composta da tecnici, che mai hanno prestato la loro formazione professionale a favore della collettività. Propone un programma concreto, fatto di proposte nette e chiaramente definite. Insomma, come in una delle sue migliori arringhe incanta la cittadinanza, e terrorizza gli avversari”.
Enrico
Aveva trovato il giornale al solito posto, davanti alla vetrina del suo barbiere di fiducia, dove un generoso numero di copie veniva puntualmente lasciato dall’editore-direttore-giornalista-fattorino.
Lo aveva scorso con interesse come faceva sempre, divorando tutti gli articoli, guardando foto, leggendo anche la pubblicità.
Ma quel numero che teneva in mano in quel momento era incredibilmente diverso.
Si dice che i fantasmi del passato tornino quando sei più debole, esposto, quando qualcosa riapre polverose porte che avevi considerato chiuse, sbarrate.
Quella mattina Enrico ebbe la riprova che anche l’articolo di un settimanale locale poteva essere una chiave, una sorta di dimenticato grimaldello capace di spalancare fredde segrete sepolte nei più reconditi corridoi dell’anima.
Aveva freddo in quella umida mattina di fine gennaio ma quel freddo, quello che aveva sentito dentro scorrendo più volte il nome citato in quell’articolo, quel gelo lo avrebbe sentito anche in una afosa giornata estiva.
Lei qui. Lei che torna. Che torna dal passato come una prova, un karma, un livello di un videogioco mai superato e mai finito.
Capace di fare male dopo tutti quegli anni come se certe ferite potessero non guarire mai.
La sua testa iniziò ad andare a ritroso, a cadere in picchiata giù giù nella psichedelica clessidra del tempo facendogli ripercorrere gli anni di scuola, l’università, gli amori, quell’amore, quell’addio.
Tutto roteava beffardo nella sua testa che ora gli faceva quasi male.
Piegò il giornale in quattro, come suo solito, e lo infilò nella borsa. Aveva bisogno di riflettere, di capire cosa fare. Era a metà strada tra via Torino e la stazione. Si girò ed iniziò a camminare verso casa. Fece le scale di gran carriera, aprì di corsa la porta, posò la borsa, tolse il giubbotto e la sciarpa. Mise della musica. Senza quasi accorgersene proprio il CD che conteneva quella canzone.
“Pronto Sara? Oggi non vengo in ufficio. Niente, niente. Solo un po’ di influenza credo…”