Sono tanti i giovani trofarellesi che scappano all’estero
Londra, 19 marzo 2015.
La location è un lussuoso hotel nell’elegante Marylebone, l’evento è l’Investor Day del nostrano gruppo Enel, internazionali i giornalisti in fremente attesa della conferenza stampa del Consiglio di Amministrazione.
Tutto è stato pianificato nei minimi dettagli, dalle luci di sala al buffet, dalle penne omaggio con tanto di logo dell’albergo (perché un po’ di marketing non fa mai male) al cartello che indica la direzione da seguire per il guardaroba.
E sullo sfondo di questo evento, ci sono io. Anzi, ci siamo noi; una decina di ragazze italiane chiamate a dispensare sorrisi a profusione e gentili accortezze a chiunque ci interpelli con le classiche domande: “Scusi, per il bagno?”. Un impiego non troppo stimolante ma decisamente remunerativo se considerato che con quattro giorni di lavoro si guadagna l’equivalente di uno stipendio medio italiano. E intendo un vero stipendio, uno di quelli con cui si riesce ad arrivare a fine mese, nonostante tutte le spese e addirittura a mettere qualcosa da parte per togliersi qualche sfizio personale.
Cronache marziane per i nostri standard, insomma. Alzi la mano chi sta pensando: “Ma questa è un’ingiustizia, non ci vorrà mica una laurea per sorridere tutto il giorno fino a rischiare una paresi facciale!”. Certo che non serve. Eppure io e le mie colleghe l’abbiamo. Tutte. Siamo carine, dai modi gentili e pure preparate. Un’immagine che ben riassume la storia di molti ragazzi italiani a Londra. E in giro per il mondo.
Siamo sempre stati un popolo di emigranti, ma rispetto al passato i giovani che oggi decidono di andarsene per cercare fortuna lontano da casa sono plurilaureati, spesso con un Master o un Dottorato di ricerca. L’onestà intellettuale richiede però di sottolineare che non tutti sono cervelli in fuga, questo davvero no. Ma giovani con voglia di fare, questo sì. Tutt’altro che choosy, tanto per riprendere l’infelice accezione data dall’ex Ministro Fornero a noi schizzinosi ragazzi italiani.
Diverse le storie dei trofarellesi espatriati. C’è quella di Alessandro che è volato con sua moglie Stefania in Germania, dove è stato riconosciuto il meritato valore della sua laurea in Ingegneria, quando in Italia sopravviveva facendo due lavori contemporaneamente. C’è quella di Marco che ha scelto l’Inghilterra prima e la Spagna poi per trovare la sua strada nella ristorazione. Io due anni fa ho scelto la Capitale britannica. E la scelgo ancora oggi perché è come se fosse la mia seconda casa. It’s a tough city, come amano definirla gli inglesi. Ed è la verità.
Londra è una città difficile. Le possibilità sono tante ma bisogna armarsi di tempo e pazienza. È una città satura di persone, in un luogo in cui fin da piccoli si è educati alla competizione. La raccomandazione non è un’invenzione italiana e qui si va avanti soprattutto tramite canali di intermediazione, con la conoscenza giusta al momento giusto. Con la differenza però che se non dimostri di valere, non vai da nessuna parte.
Noi siamo culturalmente più preparati, ma abbiamo programmi di studio eccessivamente teorici. Qui tutto è pratica. Noi italiani a venticinque anni usciamo dall’Università con nessuna esperienza; alla stessa età un giovane ragazzo inglese è già manager. Londra è stata una scelta irrazionale ma è stata la scelta giusta per come mi ha cambiata. Non c’è niente che apra di più la mente che stare a contatto con culture diverse, perché sorprendentemente aiuta a meglio definire la propria. Costringe a pensare diversamente e a mettere in discussione le proprie certezze. La mia esperienza all’estero mi ha insegnato a comunicare con le persone e a tirare fuori un’intraprendenza che in Italia è sempre stata un po’ sopita. Ho imparato ad essere autonoma ed indipendente. Che era quello che cercavo quando sono partita. Non è possibile conoscere il mondo se non lo si esplora.
Perciò a tutti i giovani come me consiglio di mollare le cime ed allontanarsi dal porto sicuro. È questo che dà un valore aggiunto. Il mio rapporto con questa città si sintetizza perfettamente in un personale Odi et Amo. Non sopporto di Londra la velocità a cui vivono le persone, la loro apparente noncuranza verso ciò che le circonda, le buone maniere e l’eccessiva gentilezza. Non mi piacciono i lunghi viaggi nella Tube, la folla, i turisti, specialmente quelli italiani appena arrivati in città, ma forse più i cinesi che fotografano ogni amenità come se fosse l’ultima opera d’arte. Odio il vento gelido che ti impedisce di aprile l’ombrello quando piove, odio il “troviamoci a Piccadilly”, lo shopping compulsivo e quelli che portano in mano con fierezza il caffè americano nel contenitore di cartone. Non capisco l’ossessione inglese per la formalità, l’essere una macchina da lavoro durante la settimana e il trasformarsi in alticci irrispettosi gonfi di birra nei weekend.
Ma sono decisamente di più le cose che amo. Della mia Londra amo il conoscere quotidianamente gente nuova e di tutte le nazionalità, amo il supermercato sotto casa aperto fino a mezzanotte, amo arrivare alla fermata e vedere che mancano solo due minuti prima che arrivi il bus. Della mia Londra adoro i giardini, il poter scendere a fare colazione al bar dietro casa in pigiama senza essere osservata, amo i teatri nel West End, l’arte gratuita per tutti e i musicisti nelle stazioni della metropolitana. La mia Londra è la musica che ballo nei pub, il mercato di North End Road, le divise dei bambini fuori dalle scuole, è l’afternoon tea della domenica pomeriggio, sono i coinquilini che mi fanno trovare il sushi a casa quando torno tardi dal lavoro, le persone stravaganti che ho conosciuto, il ristorante libanese del fine settimana, le passeggiate a Holland Park e gli amici con cui ho riso.
La mia Londra è tornare a casa alle tre del mattino guardando fuori dal finestrino dell’autobus e vedere una Londra che non assomiglia per niente a quella che vivo di giorno. Ed è lì che si mostra finalmente in tutta la sua bellezza.
Federica De Marco
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