CENTRO – E’ appena arrivata e sarà presentato venerdì 24 marzo alle ore 18 presso la saletta dei libri di via Vigone 54 la prima opera del trofarellese Bruno Giovetti. «Ogni tanto qualcuno me lo chiede: “Perché non pubblichi un libro di poesie tutto tuo?”
Io mi nascondevo sempre dietro ad una battuta, ad un rimando a chissà quando» esordisce Bruno Giovetti, eclettico personaggio tra il poeta e l’attore, tra il giullare ed il menestrello di cui ama vestire i panni quando partecipa alle ricostruzioni storiche della sua amata associazione Conti Vagnone. «In verità è da un po’ di anni che mi riprometto di pubblicare qualcosa, anche solo perché rimanga traccia, da qualche parte, di ciò che, bene o male, ho scritto e ammucchiato lì, nei file di un computer, su quella pila di fogli A4 o sugli scontrini che ancora tengo in una borsa di tela.
Tutte le volte cerco di catalogarle, mi invento una copertina, ma poi desisto.
Non sono pronto, non ho materiale che sia degno di essere pubblicato, molto probabilmente, le mie, non sono neanche poesie… lo farò poi, prima di andarmene.
Quest’anno, a Marzo, gli anni sulle spalle sono 67 e ho deciso che sono abbastanza maturo da poter rischiare.
Ho scelto 67 “poesie”, tra quelle scritte anni fa, quasi dimenticate, e quelle recenti.
Le ho mischiate e poi scoperte una ad una, come un mazzo di carte, sulle pagine di questo libretto.
La logica è quella dei momenti della vita, quelli sì e quelli no, che ci accadono, senza spiegazioni apparenti, ma che in realtà vivono ogni giorno e ogni notte dentro di noi.
È la nostra parte fragile, quella che, di solito, noi uomini, avvolgiamo in una anonima carta da pacco per nasconderne il contenuto.
È la mia visione della vita e delle emozioni che la rendono unica e degna di essere vissuta.
Ho voluto iniziare da quelle che parlavano d’amore, e poi, man mano, sono arrivate tutte le altre, a volte spingendo, a volte chiedendo educatamente il permesso».
Nonostante l’abitudine alla presenza del pubblico, il cantore di Trofarello non nasconde la sua natura timida che ha imparato ad esorcizzare anche attraverso la partecipazione a diverse rievocazioni storiche, da quella torinese di San Giovanni all’investitura dei Conti Vagnone. Ex Operaio, poeta e anche maschera.
Quando è nata la sua passione per la poesia?
«Direi sui banchi di scuola. Sfortunatamente mi è sempre stato detto che scrivere poesie non mi avrebbe aiutato a “riempire la pancia”, così ho lasciato sopire per un po’ la mia passione. C’era chi sosteneva che scrivere componimenti fosse cosa da femminucce o innamorati, così ho smesso di coltivare questo interesse e ho cominciato a dedicarmi unicamente agli studi tecnici. Poi, intorno al 2000, ho realizzato di dover fare qualcosa che davvero mi piacesse».
Considera la poesia un hobby o una professione?
«La risposta più semplice e vera è che mi piace scrivere. Prima di Fragile, ho scritto un solo libro in vita mia, Radici in agrodolce che ho autoprodotto e regalato ai familiari. Le mie poesie parlano della mia vita quotidiana; ne ho scritta una perfino sull’ Altissimo, la fabbrica di Moriondo che ha visto i miei inizi lavorativi e dove ho conosciuto mia moglie più di 35 anni fa. Ho l’abitudine di collezionare scontrini dove butto giù le idee che mi balenano in testa. Talvolta l’ispirazione mi veniva sul posto di lavoro e allora non potevo fare a meno di prendere appunti per non lasciarmi sfuggire l’idea. Quando scrivo sul mio passato non posso fare a meno di usare il dialetto, mentre quando parlo di sentimenti preferisco farlo in italiano. Una volta credevo che le poesie piemontesi avessero qualcosa di rude. Comunque nel libro appena pubblicato non ci sono testi in piemontese».