Gorbaciov: uno statista illuminato con la spada di Dio
Si è spento in ospedale all’età di 91 anni dopo una lunga malattia Mikhail Gorbaciov, padre della perestroika, del crollo del Muro di Berlino, della fine della guerra fredda, del disarmo nucleare. Dietro il suo nome un’intera epoca di cambiamenti storici terminata nel 1991. Non potevano mancare sulle pagine online di Città il ricordo e l’analisi di un fine interprete del panorama internazionale quale è il professore trofarellese Corrado Malandrino, Professore Ordinario di Storia delle Dottrine Politiche Cattedra Jean Monnet di Storia dell’Integrazione Europea, che in un articolato commento ricorda ed analizza quegli anni da fine storico della politica. «Gorbaciov è nella storia. Ci rimarrà da illuminista e riformatore sovietico del XX secolo, per ciò che ha fatto e per ciò che non ha potuto e voluto fare. Voleva riformare l’Unione sovietica attraverso la glasnost e la perestroika, non distruggerla. Perché, nonostante tutti i dubbi e le critiche, credeva nella missione unificatrice e sociale dell’URSS. La glasnost era lo strumento per rendere l’organizzazione dello stato sovietico più trasparente e responsabile da un punto di vista democratico e popolare. La perestroika era lo strumento per trasformare l’economia e l’amministrazione pubblica in un sistema più sociale ed efficiente – esordisce il professor Malandrino nella sua analisi – Ma la premessa indispensabile per la realizzazione di queste due direttive riformatrici era costituita dalla trasformazione del clima internazionale in senso più pacifico, ovvero dal superamento della guerra fredda e della minaccia nucleare che negli anni del confronto politico-militare con l’America di Ronald Reagan da parte degli eredi di Breznev – Andropov e soprattutto Černienko – era arrivato a dei limiti sempre più insostenibili. A questo scopo furono dirette le due principali direttive di Gorbaciov in ambito internazionale: da un lato, la declunearizzazione del mondo attraverso la stipulazione di trattati per smantellare i depositi di bombe e missili atomici con Reagan e gli altri stati in possesso dell’arma atomica e la moratoria generale sulla produzione di nuove armi nucleari; dall’altro lato, l’iniziativa per la costruzione della “casa comune europea” con la Comunità che si accingeva a diventare l’Unione europea.
Con queste iniziative epocali Gorbaciov riuscì in un tempo relativamente breve, la seconda metà degli anni Ottanta, a cambiare l’agenda politica del mondo e pertanto – suo inestimabile merito ‘per sempre’ – a ridare a tutti i popoli una nuova speranza. A tutti, meno che al suo popolo russo, che visse invece la sua epoca come caduta della grandezza della sua missione euroasiatica e mondiale, quindi come disillusione e tradimento.
Con le sue iniziative cosmopolitiche, Gorbaciov si manifestò in effetti come uno statista nutrito di una filosofia politica, geopolitica e sociale sostanzialmente illuminista e occidentalista. Questo fu visto e sentito come suo grande limite. Egli forse non si rese completamente conto, allora e probabilmente fino alla sua scomparsa, di quanta resistenza la sua politica riformatrice incontrasse nelle pieghe profonde del popolo russo, non solo tra i cultori della sempre viva missione euroasiatica della “grande madre Russia”, del suo consolidamento a oriente e nel mondo. Ebbe invece, il plauso di altri popoli sovietici e in particolare di quelli dei cosiddetti ‘stati satelliti’ europei occidentali che vedevano l’opportunità nelle sue iniziative dell’apertura di una via per rendersi indipendenti da un punto di vista nazionale.
Gorbaciov credeva nella forza della persuasione razionale delle menti attraverso il dibattito aperto e leale. Per questa strada doveva avere successo il suo progetto politico. La sua immagine dialogante resterà nella mente di coloro che lo videro di persona o in video incontrare gli altri statisti del mondo, ma anche operai, contadini, lavoratori, e le folle insorte nel 1989 gettandosi coraggiosamente nella mischia per spiegarsi con loro. Inutilmente. Per quanto possa apparire incredibile, Gorbaciov rimase sorpreso del tradimento dei suoi compatrioti e alleati, e impreparato. Questo passaggio, che dimostra la sua carenza di approfondimento dell’aspetto machiavelliano della politica, può contribuire a spiegare la sua repentina caduta.
All’inizio del 1989, di fronte all’insorgere delle avvisaglie insurrezionali, Gorbaciov avrebbe potuto scegliere un diverso comportamento e fare, come poco più di 40 anni prima aveva fatto Krusciov e negli anni Sessanta Breznev, ossia mandare i carri armati a ristabilire l’ordine imperiale sovietico. Le divisioni corazzate stavano ancora nei paesi dell’Europa orientale e non sarebbe stato difficile farle muovere. Ma ciò avrebbe significato contravvenire a tutto il suo progetto politico e forse Gorbaciov sarebbe sopravvissuto come nuovo dittatore dell’URSS, ma perdendo se stesso come uomo e pensatore innovatore sociale e statista riformatore. Non lo fece, e anche per questo egli rimarrà nella storia. Una storia non finita, ma che ebbe certamente con la caduta del muro di Berlino un nuovo inizio.
Un commento finale merita la sua idea di “casa comune europea” dall’Atlantico agli Urali. Non era certamente nuova, dato che coincideva con l’idea dell’Europa che aveva patrocinato negli anni Cinquanta Charles de Gaulle. Gorbaciov però la propose in un contesto molto più drammatico, con la minaccia di una guerra nucleare davanti e non con la guerra mondiale vinta alle spalle. Tuttavia il suo pensiero era molto simile. In un contesto ancora in parte eurocentrico, egli pensava a una sorta di istituzionalizzazione di un organo transnazionale capace di cogestire le problematiche e risolvere pacificamente le tensioni e difficoltà tra l’Europa occidentale rappresentata nella Comunità europea e gli stati del Comecon, l’organizzazione socioeconomica raggruppante la Russia con tutti gli alleati europei orientali. Questa idea non era distante nella sua ispirazione da quella teorizzata dai grandi filosofi illuministi del Settecento, dall’abate di Saint Pierre al Montesquieu che sosteneva che la Moscovia (il nome usato a designare l’impero russo a quell’epoca) era da integrare in un rapporto di pacifica cooperazione economica e sociale come nazione sorella con le altre nazioni sorelle europee. Ed era, quella di Gorbaciov, una visione di tipo cosmopolitico affine a quella del Kant della pace perpetua, sebbene ovviamente tradotta nel lessico politico del ‘suo’ XX secolo. Una visione cosmopolitica e confederale vista lungo un cammino di pace. A essa si contrapposero i popoli che chiedevano la difesa della tradizione o il ritorno al passato nazionale, aprendo la strada al difficile percorso delle loro libertà sovrane, assolute ed esclusive. E con ciò alla fine delle proposte razionali di riforma sovietica di Gorbaciov culminanti nella proposta della perestroika e della ‘casa comune europea’, buttate nella spazzatura della storia». Il professor Malandrino, che è stato anche preside della Facoltà di Scienze politiche dell’Università del Piemonte Orientale, si avvia alla conclusione della sua riflessione sullo statista scomparso. «Una strada che dopo contorsioni, conflitti politici e nuove insurrezioni ha condotto anche al più grande conflitto europeo ancora in corso e a una nuova minaccia di guerra nucleare mondiale».