CENTRO – Un medico bravo, un uomo buono, un amico sincero, un marito e un padre esemplare. Erminio Penno, per tutti Mimmo, lasciava il mondo terreno a luglio 2020. Oggi la moglie Adriana Cortassa lo ricorda in un aspetto sconosciuto ai più: la sua passione per il mondo svantaggiato dell’altro emisfero. «Mimmo decise di andare in Bolivia rispondendo al richiamo di amici dell’Operazione Mato Grosso, nata in Val Formazza per volere del Padre Ugo De Censi, salesiano valtellinese, classe 1924, che negli anni 70 propone ai giovani qualcosa di più concreto della consueta catechesi perché si era accorto che quando andava negli oratori a raccontare le “cose da preti” come le chiamava lui, i ragazzi non lo stavano a sentire neppure di striscio – spiega la moglie Adriana Cortassa – Così decide di far loro incontrare un amico missionario che tornava da una missione, proponendogli di andare là con i ragazzi ad aiutarlo. L’amico missionario resta un po’ dubbioso perché pensa che i giovani ormai sono molto distanti da questo tipo di progetti, ma poi padre Ugo insiste e su questa scommessa fa partire l’operazione Mato Grosso.
Così quell’estate invita tutti gli animatori ed i ragazzi più svegli degli oratori dell’Emilia e della Lombardia a raggiungerlo in val Formazza e lì propone l’Operazione Mato Grosso. Il suo grande entusiasmo per il progetto trascina ed incendia i giovani, ma bisogna sostenere delle spese e trovare i soldi per partire. Così decide di costruire i rifugi della val Formazza per chi vuole andare in montagna d’estate e per chi ama sciare d’inverno.
Ma la sua aspirazione è quella di andare a vivere con i poveri del Mato Grosso. E così a 60 anni parte per le Ande e si stabilisce a 3400 metri.
Oggi l’O.M.G. è presente in oltre 100 comunità in America così distribuite: 50 comunità in Perù, 17 in Ecuador, 9 in Bolivia, 12 in Brasile, 2 a Baltimora (U.S.A). I volontari possono prestare servizio di volontariato 1 mese, 3 o 4 mesi o anche degli anni. Possono anche rimanere nella comunità a cui sono stati destinati tutta la loro vita. Mimmo faceva parte di un gruppo dell’O.M.G. di Torino, zona Crocetta, decise di prestare servizio di volontariato come studente di quarto anno di medicina e lo fece per quattro mesi. Partì il 29 luglio 1974 e la sua prima tappa fu il Brasile, a Campogrande, nella cui area c’è il lebbrosario di Sao Juliao che a quei tempi era gestito da Suor Silvia. Il mese successivo raggiunse la località a cui era stato destinato: Escoma, in Bolivia, a 3823 metri. Lì c’era un presidio sanitario, se così si può chiamare, privo di elettricità, che veniva fornita da un gruppo elettrogeno. E lì Mimmo faceva il medico, a tutti gli effetti, pur essendo solo studente ventiquattrenne del quarto anno di medicina, perché il medico di riferimento visitava quel presidio solo saltuariamente. Fu un’esperienza forte, che segnò tutto il resto della sua esistenza. Avrebbe voluto continuare a prestare servizio là, ma questo mal si conciliava con un progetto di costruzione di una famiglia e così tornò in Italia, ma in linea con quello che era il suo spirito, che gli dettava la sua anima, è stato sempre il medico degli ultimi, di quelli che nessuno considerava, degli scomodi, degli “inutili”.
Gli era stato chiesto di fare il sindaco di Trofarello, ma delegò me, perché la sua missione era quella di fare solo il medico. Aveva anche conseguito l’idoneità da primario, ma pensava che la parte amministrativa e burocratica avrebbe sottratto tempo al suo servizio di medico e quindi non è mai stato primario – conclude la Cortassa – Andato suo malgrado in pensione, prestava ancora servizio di volontariato in ospedale e faceva visite private, ma il suo problema era farsi pagare: lui visitava per prestare servizio ed il denaro non gli interessava.
Averlo ricordato con la presenza di don Massimo Biancalani e di don Luigi Chiampo, responsabili il primo della comunità di migranti di Vicofaro, il secondo di quella di Oulx è in linea con la sua essenza, credo davvero che sarà felice di questa commemorazione e credo che sarebbe auspicabile che il suo ricordo si rinnovasse sempre in questa direzione, sensibilizzando quanta più gente possibile all’ottica dell’accoglienza dell’altro “uguale a me”.