Quest’anno festeggerò i 30 anni di attività giornalistica ripartendo dalla gavetta, che peraltro non ho mai finito di fare. Domani inizierò a fare un corso di giornalismo a ragazzi disabili di un centro posto ai piedi della collina di Torino. Non nego che il mio unico sogno, fin da quando ero bambino era quello di scrivere in un giornale. Fin da quando leggevo “Il Giornalino” delle Edizioni San Paolo, sulle cui pagine sognavo di far parte della Redazione dell’inserto Conoscere insieme, il supplemento interno dedicato al mondo della scienza, tecnica e storia, spiegate ai bambini, del settimanale cattolico. Una passione che ho portato avanti parallelamente ad una professione che mi sono ritrovato tra capo e collo una quindicina di anni fa: quella di direttore di comunità socio assistenziale. Oggi dopo tutti questi anni ed una vita sgualcita dal tempo e dalle vicende, torno a fare giornalismo a tempo pieno.
Da insegnante. Ma non con giovani laureati, promettenti firme del giornalismo nazionale ed internazionale. Con ragazzi diversamente abili. Una sfida per guardare il “nostro” mondo con i “loro” occhi. Il mondo delle diverse abilità mi ha sempre affascinato. Forse perchè io stesso mi sento un po’ diverso. Attratto da quelle semplicità sensoriali e cognitive che rendono queste creature di Dio forti nella loro diversità. Ma diversi poi da cosa? Dalla smania di ricchezza, successo, affermazione personale. Tutti non valori che tendenzialmente noi “‘normodotati” mettiamo al primo posto, dimenticandoci delle cose importanti della vita: il rispetto del prossimo, la famiglia, il senso del dovere. Così, a 45 anni, mi rimetto in gioco con la vita, questa misteriosa maestra dell’inaspettabile.
Roberto D’Uva