CENTRO – Sono state decise martedì sera le benemerenze a favore dei cittadini trofarellesi che si sono distinti nel corso di questi ultimi 12 mesi. La scelta è caduta su Piero Ottone, portavoce e factotum del gruppo Alpini di Trofarello e sulla direttrice dell’oratorio don Bosco, Graziella Toaldo. Una terza benemerenza è stata assegnata più genericamente a tutta la Croce Rossa per le attività incessanti di aiuto fatto alla cittadinanza. Questo anno di particolarità ha convinto l’amministazione a triplicare l’assegnazione delle benemerenze, per anni riservata ad un solo cittadino per volta. Piero Ottone, è da sempre linfa vitale del gruppo Alpini e di tutte le iniziative che il gruppo Alpini porta avanti in città.
«Ho accettato volentieri questa benemerenza che l’amministrazione ha voluto assegnarmi. Piero Ottone è una delle tante pedine del volontariato trofarellese. E’ una pedina che ha potuto brillare grazie all’Associazione Nazionale Alpini. Un grazie particolare va a tutti quelli che mi hanno supportato e che mi hanno soprattutto sopportato». Facciamo un po’ di storia del Piero Ottone volontario? «Con l’associazione ho cominciato nel 1967, anche se già nel 1965 facevo il torneo del centro sportivo italiano del Trofarello Calcio, trasportando i ragazzi del Trofarello calcio alle varie gare e partite. Ero l’unico del gruppo che aveva patente ed automobile. La patente mi aveva automaticamente assegnato la carica di coresponsabile giovanile del Trofarello Calcio, insieme al compianto papà di Giancarlo Scalenghe. Nel 1966 sono partito militare, anche controvoglia, dove ho fatto 5 mesi di scuola militare alpina, 10 mesi di Alpino a L’Aquila e poi nel 1967 sono stato iscritto all’associazione Alpini da Angelo Masera mentre ero ancora militare. Da quel giorno ho continuato a lavorare nel gruppo ed oggi sono ancora qui insieme a tanti altri. La mia vita è fondamentalmente questa. Una vita che, penso, abbia dato molto ai bambini. Sono contento di essere presente tutte le volte che è necessario. Dai giochi dell’Avis alle attuali attività che faccio con la giovanile della Atletica Alpini, dove ho 80 ragazzini in allenamento. Sono molto contento. Si va avanti giorno dopo giorno aspettando di avere qualche idea nuova. Fondamentalmente mi piace fare delle cose nuove. Rinnovarsi continuamente è il sale della vita. Ringrazio innanzitutto la mia famiglia che più di tutti mi ha sopportato. So di aver tolto molto alla mia famiglia per poter dedicare del tempo agli altri. Questo, a volte, è un rammarico, ma quando si ha un taglio mentale come il mio non si può vivere diversamente. Ringrazio poi tutti coloro che nel corso della mia vita mi hanno dato una mano. Purtroppo ce ne sono tanti che non ci sono più. Il bello è comunque avere le nuove generazioni che riescono a credere in me». Il più bel riconoscimento ricevuto? «Sicuramente avere dei genitori che mandano i loro figli a crescer nell’atletica dopo essere passati sotto le mie grinfie quando erano giovani loro. Questo è uno dei riscontri più belli che possa avere nella vita».
Graziella Toaldo è da sempre punto di riferimento per l’educazione cattolica dei giovani che frequentano l’Oratorio. Da oltre trent’anni anima gruppi e iniziative parrocchiali. Con la sua timidezza avrebbe volentieri fatto a meno di una intervista ed allora facciamo una chiacchierata. «Per me la chiesa deve essere la chiesa del grembiule come diceva don Tonino Bello. Fare le cose non da soli ma in comunione. Altra persona che adoro è papa Francesco che mi ha veramente rasserenata. Non capisco gli steccati. La chiesa deve essere aperta. Deve uscire. Ecco perché in oratorio ci siamo aperti alle altre associazioni. è bello mangiare una torta in compagnia e non da soli. Questa è la condivisione. Questo è il mio stile. Tutto quello che sono nasce da una serie di incontri fatti nella vita che mi hanno portato su una strada e mi hanno corretto per fare comunione: come dice don Tonino Bello… la chiesa del grembiule». Schiva e imbarazzata Graziella continua nella chiacchierata. Quando ha iniziato a fare volontariato in oratorio? «Nell’estate 1991. Avevo iniziato a fare catechismo e sono andata a Col del Mulo pensando di fare la cuoca. Poi, non ricordo per quale motivo, ho fatto l’animatrice. Ho iniziato a seguire i gruppi e poi siamo andati a formarci perché non ci si improvvisa per lavorare con i ragazzi. Senti il bisogno di approfondire tutta una serie di cose. A catechismo poi i ragazzi ti fanno una serie di domande a cui puoi rispondere solo se sei preparata. Ciò che è importante è anche la formazione permanente nel tempo. Ho preparato delle persone adulte. Sono andata a prepararmi in Diocesi. Mi sono resa conto che si apre un mondo. è una cosa completamente diversa rispetto al catechismo di una volta. Qui è una questione di testimonianza. Una testimonianza che ha visto generazioni di giovani a partire delle leve fine anni 60, inzio anni 70». Affiorano alla mente ricordi come la quattro passi in…, la raccolta del ferro, gli spettacoli teatrali, le settimane al Col del Mulo. Una cosa che le ha fatto capire che sarebbero stati prodotti dei frutti importanti? «Quando i ragazzi hanno iniziato a creare delle coppie ed hanno iniziato a fare un percorso di crescita insieme. Questo credo sia stato l’impegno più grande. Contribuire a far crescere le famiglie. Questo sì che è importante. Contribuire a creare il futuro. Con l’esempio. Credo non sia cosa da poco».