CENTRO – Il Corona Virus non ha fermato la scuola. Gli studenti sono ormai a casa da tre settimane. Magari molti di loro all’inizio hanno stappato le bottiglie, ma ben presto si sono accorti delle difficoltà e dei problemi che una situazione del genere può generare: non vedere più i compagni, non avere il contatto faccia a faccia con i professori, non potersi confrontare su eventuali dubbi a voce, senza contare il fatto di rimanere indietro col programma, soprattutto per chi dovrà poi sostenere un esame di Stato. La scuola si è dunque dovuta attrezzare, attivando metodi di docenza a distanza. E lo ha dovuto fare in maniera rapida e non sempre potendo contare su una grossa esperienza alle spalle. Così abbiamo intervistato qualche studente e un professore di istituti di istruzione superiore, per comprendere quali strumenti sono stati attivati, quali i punti di forza e di debolezza, visti da entrambi i lati della cattedra.
Mattia Testa – Istituto tecnico Marro, Ragioneria – mette in evidenza la difficoltà di attuare un metodo uniforme tra i vari docenti. «Ogni professore ha adottato un metodo diverso, per esempio le professoresse di economia, di matematica e di diritto, utilizzano un’applicazione che si chiama Zoom che è simile a Skype: ci hanno dato una password e un ID e così noi ci possiamo connettere per seguire le lezioni. Facciamo circa una o due ore al giorno per ognuna di queste materie. Altri docenti, invece, ci hanno fatto scaricare Google Classroom, a cui accediamo tramite Gmail, e lì inseriscono tutti i file di didattica, quindi tutte le cose da studiare. Questa settimana, con la professoressa di italiano, proveremo a fare una video-chiamata con questa applicazione: ci proviamo perché non l’abbiamo mai fatta. Per quanto riguarda i compiti da svolgere, vengono inseriti nel registro elettronico, come si fa normalmente durante l’anno. In teoria, dovrebbero esserci delle aule virtuali per condividere i file, in maniera che siano accessibili a tutti gli studenti della classe, ma, visto che il programma utilizzato per il registro elettronico è lo stesso per tutta Italia, queste classi virtuali si sono “impallate” e non funzionano più. Per questo si è dovuto fare affidamento su altre applicazioni tipo Google Classroom». Vista la frequentazione della classe quinta da parte di Mattia, ne approfittiamo per chiedergli qualche informazione e quali prospettive in merito all’esame di Stato. «A noi che abbiamo la maturità, non ci hanno ancora detto nulla: c’è chi dice che le lezioni andranno avanti fino al 30 giugno, altri dicono che l’anno finirà normalmente e non ci saranno ripercussioni sull’esame, salvo un parziale alleggerimento del programma, altri ancora, i sognatori come me, sperano nel 60 politico a tutti e che ci mandino a casa così. Personalmente non sono preoccupato tanto per l’esame, spero che si possa risolvere in primo luogo questa situazione di emergenza e che poi si trovi una soluzione buona per tutti, che si arrivi a un compromesso tra alunni, professori, presidi, commissioni esaminatrici, Ministero ecc.».
Dennis Nicoletti – Istituto Gobetti Marchesini Casale Arduino – spiega che presso la sua scuola «i compiti vengono assegnati tramite registro elettronico e noi li riconsegnamo via mail. Tendenzialmente tutti i professori utilizzano questo metodo a parte due. Non è comodo perché bisogna stare molto più concentrati e attenti e spesso i nuovi argomenti, da solo, non riesco comprenderli. Per questo, secondo me, sarebbero utili delle video-lezioni, in modo da poter interagire con il docente. Noi come studenti cerchiamo di prendere l’impegno seriamente, anche perché stare a casa senza fare nulla ci annoiamo. Però rimane il problema per gli argomenti nuovi, che sono difficili da affrontare da soli».
Daniele Balbo – Pininfarina, Biotecnologie – racconta così la sua esperienza formativa da casa. «I professori, per inviarci compiti e lezioni, usano lo stesso sito che abbiamo sempre utilizzato durante l’anno. Lo fanno tutti i professori. Per me è molto comodo e utile perché faccio tutto al PC e poi spedisco via email i compiti. Tuttavia, manca la spiegazione degli argomenti trattati e il contatto con il docente. Solo con la professoressa di biologia siamo riusciti a fare una videoconferenza. È un impegno che necessariamente dobbiamo prendere seriamente, perché, se questa situazione si prolunga, credo che i professori ci valuteranno per quello che abbiamo prodotto a casa. Ovviamente, non è sempre così semplice stare al passo, perché a casa non ci sono i professori che ti riprendono se non stai attento o non fai i compiti. Inoltre, c’è il problema legato alla mancanza di spiegazione da parte dei professori e il fatto di non avere un responso diretto sui compiti che stiamo facendo».
Infine, Davide Carena, che frequenta l’istituto tecnico Luxemburg, indirizzo Finanza e marketing RIM (Relazioni Internazionali per il Marketing). «Molti professori hanno creato dei corsi su Classroom per darci i compiti, alcuni ci inviano le consegne tramite mail e altri ancora ci danno informazioni tramite il registro elettronico di classe. In generale tutti i professori hanno aderito e ci hanno dato qualcosa da fare, tra compiti e studio. Sicuramente, è utile perché non rimaniamo fuori allenamento e ripassiamo gli argomenti già trattati. A livello di video-lezioni non ne abbiamo ancora fatte, ma credo che avviare questo sistema sarebbe ancora più efficace. Oltre che utile questo sistema è anche comodo, perché posso gestire il mio tempo e farlo comodamente da casa. Purtroppo però molti di noi non riescono a rispettare le scadenze date, per vari motivi, però in generale tutti stiamo dando il nostro contributo cercando anche di aiutare i professori a svolgere al meglio il loro lavoro. Ovviamente, non è facile essendo una novità per tutti ma, sicuramente, abituandosi a questa nuova modalità di insegnamento, se ne potrebbero trarre dei benefici anche in futuro. Ovviamente i problemi non mancano, alcuni sono legati a questioni più pratiche, come ad esempio la connessione a internet debole, un computer da condividere con altri familiari e c’è anche il rischio di perdersi qualche compito o rimanere indietro, poiché ogni professore utilizza modalità differenti. Un altro problema è che non c’è un’interazione e una comunicazione dinamica tra insegnate e allievi e tra allievi stessi. Sicuramente, se dobbiamo trovare un lato positivo a tutto ciò, possiamo dire che l’evoluzione tecnologica ci sta dando una grossa mano».
Sentite le voci degli studenti, non si può non ascoltare anche l’altra faccia della medaglia, ossia il punto di vista della docenza.
Tommaso Maccagni, insegnante di matematica e fisica al liceo Alessandro Volta di Torino, racconta la sua esperienza in questi termini. «Ci stiamo organizzando tutti per la didattica a distanza. Io ho iniziato subito, dopo due o tre giorni da quando si è iniziato a capire che la situa zione si sarebbe prolungata. Utilizzo i nuovi metodi didattici non solo per dare compiti di potenziamento ma anche per andare avanti con il programma, perché non voglio assolutamente restare indietro. Presso l’istituto per cui lavoro, quasi tutti gli insegnanti utilizzano una piattaforma che si chiama Google Classroom, attraverso la quale si possono scambiare video, messaggi, compiti ecc. Io in realtà la utilizzavo già prima dell’inizio dell’emergenza, ma adesso l’utilizzo è certamente più massiccio. Sono molti i professori che ne usufruiscono. Ovviamente i più giovani hanno meno difficoltà, mentre i più “anziani” ci stanno mettendo più tempo ad adattarsi, ma penso sia fisiologico. Il metodo di insegnamento a distanza sicuramente è efficace, tuttavia, per usufruirne in maniera utile, bisogna lavorare parecchio: io registro video in cui parlo e scrivo, con un programma che riproduce la mia scrittura a penna, tengo degli incontri con un programma che si chiama Google Meet, che consiste in videoconferenze con tutti i ragazzi in diretta in cui loro possono intervenire come fossimo in classe realmente. Il tutto costa fatica. In generale mi sembra che i ragazzi prendano seriamente questo impegno. Io non posso controllare ogni singolo ragazzo, vedo solo che sono iscritti alla piattaforma. Però io in maniera chiara ho chiesto di stare dietro a quello che facciamo e quindi devono essere loro molto responsabili, e devo dire che molti intervengono, chiedono chiarimenti, interagiscono con me e quindi devo dire che la prendono piuttosto seriamente. Certamente sussistono alcuni problemi, perché non è così scontato che tutti possano avere un certo tipo di connessione e di possibilità di utilizzo di internet. Quindi viene da chiedersi se questa didattica sia davvero inclusiva cioè se aiuta tutti o solo quelli che sono un po’ più attrezzati dal punto di vista tecnologico. Trovo che sia una sfida, una novità che a me farà imparare qualcosa: mi impratichirò nella gestione di situazioni nuove, a distanza. Io penso che anche i ragazzi, almeno chi la prende seriamente, farà tesoro di questa nuova situazione. A livello più ampio noto l’esistenza di questo scontro tra chi sostiene che queste tecnologie ci stanno salvando e chi dice che invece si tratta una didattica sterile, utile in questo momento ma da non farci affidamento. Io credo che come sempre la risposta più ragionevole sia nel mezzo: indubbiamente le tecnologia ci stanno dando una mano, io le utilizzavo anche prima, fermo restando che la vecchia lezione penso sia indispensabile».
Davide Lucchetta