CENTRO – «Quello che penso è effettivamente così? C’è qualcosa che mi sta sfuggendo? Devo andare per forza là per capirlo». È la curiosità insomma che ha spinto il trofarellese Francesco Gianuzzo (nome di fantasia per non sottoporlo a eventuali rischi) – vent’anni, diplomato al liceo classico e iscritto al primo anno di Filosofia – a partecipare a un’iniziativa di attivismo internazionale tramite l’ONG “Comunità Papa Giovanni XXIII” e la sua “Operazione Colomba” (nata nel 1992 dal desiderio di alcuni volontari e obiettori di coscienza della Comunità di vivere concretamente la nonviolenza in zone di guerra).
Francesco è stato tre mesi in Palestina, presso il villaggio di At-tuwani (poco più di trecento anime, principalmente pastori), con l’obiettivo di comprendere meglio e da vicino la situazione di conflittualità che esiste in quella zona. «Il corpo civile di pace per cui ho lavorato – spiega Francesco – si occupa di fornire supporto a delle popolazioni che spontaneamente hanno deciso di intraprendere un persorso di lotta non violenta contro l’occupazione militare israeliana. I pastori del villaggio di At-tuwani, intorno agli anni Duemila, hanno dato vita a un’opposizione non violenta, che si può leggere come l’affermazione testarda della quotidianità: un pastore è un attivista a tutti gli effetti semplicemente perché continua ogni giorno a far pascolare sulla propria terra il proprio gregge, senza cedere all’oppressione della potenza occupante».
Francesco, nonostante la giovane età, dimostra di essere ben informato, e fornisce preziose indicazioni per comprendere meglio la complicata realtà mediorientale. «Dopo gli Accordi di Oslo del 1993, la Palestina è stata divisa in tre zone: A, B e C. Solo sulle zone A (i grandi centri urbani) l’Autorità Nazionale Palestinese esercita una qualche forma di controllo. La maggior parte sono zone C, cioè sotto il controllo civile e militare israeliano, dove per i palestinesi difficilissimo vivere. Il nostro ruolo era quello di avere costantemente con noi la telecamera, vivere all’interno del contesto, condividere la vita delle persone e filmare tutto: demolizioni delle infrastrutture, arresti, violenze sui pastori, sui bambini ecc. Poi abbiamo raccolto dati, stilato report e articoli da inviare all’ONU, diffuso informazioni su tuti i mezzi di comunicazione possibili».
Poi racconta della questione delle colonie e degli insediamenti israeliani. «Le colonie sono illegali per diritto internazionale. Nonostante ciò, Israele, forza occupante, trasporta popolazione civile nei territori occupati con la forza, apre e finanzia aziende e servizi pubblici. E poi ci sono gli insediamenti, che nascono come appendici della colonia madre, fondati solitamente da estremisti e fanatici religiosi. L’insediamento è illegale anche per diritto israeliano. Vicino ad At-tuwani c’è un insediamento e, nonostante i media israeliani ne parlino come di un esempio di convivenza, il livello di tensione è altissimo[…] Ma è altresì allucinante il fatto che i coloni siano i primi a essere “gli sfruttati” della macchina sionista. Tutti i continui arrivi di ebrei immigrati generano gradi difficoltà per Israele, che così li manda (specialmente i meno abbienti) a occupare con la forza nuove terre a scapito dei territori palestinesi […] Il colono ti dirà che lui occupa la terra per ripristinare il regno di David, non capendo che lui è solo una pedina del grande meccanismo sionista».
La riflessione finale è nel segno della speranza. «La lotta che portano avanti i pastori a At-tuwani è quella di non normalizzare questo conflitto. Vogliono continuare la loro vita di sempre. Il vero attivismo lo fa in primo luogo il palestinese. Ci sono anche attivisti israeliani. Però, mentre se sei palestinese ci nasci attivista, se sei israeliano devi rinunciare alla famiglia, sarai considerato un traditore della patria, non avrai mai giustizia, il sistema giudiziario israeliano ti volterà le spalle. In ogni caso questa esperienza mi ha permesso di vedere che comunque qualcosa sembra che si stia muovendo e… Inshallah!».
E alla domanda più difficile, che tutti probabilmente si fanno leggendo delle notizia che arrivano dal Medio-Oriente – ossia: quale futuro per la Palestina e Israele – Francesco risponde: «Non credo alla soluzione dei due stati, ma a quella dello stato unico. È un’utopia pensare che sia gli uni sia gli altri volgiano collaborare a questo Stato, sono solo minoranze illuminate da entrambe le parti che ragionano in questi termini. Rimane il fatto che la divisione è una soluzione che continuerà a portare conflitti e violenze». Davide Lucchetta