Centro – Un viaggio della solidarietà fatto sacrificando le proprie vacanze. Protagonisti del viaggio in Kenya sono una decina di ragazzi di Valle Sauglio. «Siamo partiti in 22, di cui 10 di Vallesauglio, 2 di Trofarello, e gli altri da Torino e Carmagnola – racconta Davide Lucchetta – Il primo gruppo era costituito da Elisa T., Elisa C., Elisabetta C. , Chiara, Silvia, Anita, Carlotta, Elisabetta E., Eleonora, Davide, accompagnati da Gabriella. II secondo gruppo era composto da Valeria, Lucia, Noemi, Domiziana, Giulio, Lorenzo, Samuele, Federico, Stefano, Francesco, accompagnati da Morena.
Il viaggio, dal 2 al 22 agosto, è consistito nel partecipare alla vita di varie realtà, per aiutare ma soprattutto per conoscere, capire e abbandonare i nostri pregiudizi e punti di vista.
Abbiamo visitato 4 realtà – continua Lucchetta – Tassia è una città nella periferia di Nairobi. Siamo stati ospitati nella parrocchia, dove parroco e viceparroco sono due sacerdoti italiani Fidei Donum, Don Paolo e Don Daniele. Abbiamo dato una mano come animatori dell’estate ragazzi. L’oratorio della parrocchia funge da punto di ritrovo per i bambini e ragazzi che hanno finito la scuola. Per molti di loro il pasto offerto dalla parrocchia è l’unico della giornata. La seconda tappa del viaggio l’abbiamo fatta a Kahawa West, un quartiere della periferia di Nairobi.
Abbiamo assistito ad un seminario per i giovani dagli 11 ai 19 anni, dove, con metodi adatti alle varie fasce di età, si analizzavano temi di vario spessore. Alcuni di essi erano, per esempio, l’amore (verso se stessi, verso gli altri e verso Dio), le relazioni umane e la ricerca di metodi per migliorare la relazione figli-genitori.
Abbiamo visitato la comunità di Papa Giovanni XXIII, creata per ospitare ragazzi di strada: si tratta di una vera e propria casa dove (attualmente) 19 ragazzi abitano insieme a Simone, giovane bolognese che ha deciso di dedicare la sua vita a questo progetto.
Abbiamo visitato lo slum di Soweto, ovvero una delle tante baraccopoli che si possono trovare in Kenya. Esse sono ben delimitate, quasi come fossero dei ghetti: sono i quartieri più poveri, dove le strade sono di terra, la luce è arrivata da pochi anni e i bagni di cui dispongono le persone sono solo quelli comuni.
Poi siamo stati a Nyahururu.
Città fuori Nairobi, a circa 4 ore di bus dalla capitale. Siamo stati ospitati presso la realtà dell’ “Arche Kenya” che si occupa di ospitare ragazzi con disabilità. La disabilità è tutt’oggi una piaga in Kenya, come in molti paesi africani, perché considerata una maledizione. Un inserimento sociale o lavorativo per un disabile è molto difficile. Addirittura spesso non sono accettato dalle famiglie, rinchiusi in casa o abbandonati. Qui invece il disabile viene educato a fare tutti i lavori della casa secondo le sue capacità, quindi la sua disabilità è valorizzata e non stigmatizzata. Inoltre i disabili vanno a lavorare presso alcuni workshop fondati appositamente dall’Arche per permettere a questi disabili di lavorare, ma soprattutto per sensibilizzare la comunità al fatto che non è detto che un disabile non sappia fare nulla.
Quarta tappa ha visto la permanenza a Karen, città in periferia di Nairobi. Siamo stati presso la Cottolengo Children Home, che ospita bambini e ragazzi HIV positivi o con madri HIV positive. Per questi ultimi si spera che tre esami diano esito negativo entro i tre anni in modo che possano essere considerati negativi in maniera definitiva. Per gli altri si spera nelle cure che possono portare alla guarigione ma solo fino ai tre anni. Per gli altri il destino è quello di convivere con la malattia, che può essere tenuta sotto controllo con una terapia costante (le medicine sono fornite gratuitamente da qualche anno dal Governo del Kenya). Raggiunta la maggiore età il centro cerca di assistere i ragazzi a cercare un lavoro. Cosa non facile visto ancora lo stigma che esiste nei confronti di questa malattia, che viene associata a uno stile di vita poco regolato, in realtà questi bambini e ragazzi non hanno nessuna colpa.
Un ringraziamento, oltre che alle due responsabili Gabriella e Morena, lo dobbiamo anche a Don Alessio, responsabile dell’ufficio Missionario della Diocesi di Torino, che è stato con noi per buona parte del viaggio». Cosa vi ha lasciato questo viaggio? «Non torniamo dal Kenya con delle soluzioni da proporre, ci mancherebbe. Ciò che però abbiamo capito è che, di fronte a problemi apparentemente irrisolvibili, bisogna prima almeno fare lo sforzo di capirli quei problemi, di porsi a quattr’occhi con essi, e non guardarli dall’alto verso il basso – conclude Lucchetta – Noi abbiamo cercato di fare questo. Senza la pretesa di risolvere nulla, abbiamo voluto essere lì, toccare, vedere, conoscere e capire. Stare in silenzio quando necessario. Non giudicare. Abbandonare i nostri punti di vista, aprendo il cuore all’ascolto e all’accoglienza. Senza mai giustificare, ma anche senza mai condannare. Donando sorrisi, abbracci, baci, giochi, canti e balli. Piccole cose, che sono diventate grandi, perché fatte col cuore. Ma soprattutto perché fatte non per loro, ma con loro».