CENTRO – E’ stata avviata la distribuzione del libro “Autismo che fare. Il figlio inatteso” edito dalla Neos edizioni e scritto da Alessandra Rubiolo. Ci racconti un po’ di lei? «Sono la mamma di un bimbo speciale e bellissimo, Edoardo e viviamo a Trofarello. Sono sola a crescerlo. Ci sono i miei genitori che mi stanno aiutando. Lavoro come assistente educativa in una scuola materna di Torino, ed essendo laureata in psicologia, mi sono specializzata nell’ambito dell’autismo ed a breve darò l’esame di stato per esercitare la professione di Psicologa. Il 21 settembre è uscito il libro “Autismo che fare” Neos edizioni scritto da me, in cui descrivo le risorse esistenti sul territorio Piemontese, i diritti ed i percorsi per accedervi, le terapie validate ed i centri dove si effettuano, c‘è anche un elenco delle associazioni di genitori a cui rivolgersi per ricevere aiuto. Nella parte iniziale c‘è la storia dei miei vissuti dalla nascita di mio figlio ad oggi. E’ il frutto della mia esperienza di vita come mamma di un bimbo speciale. Scritto con il cuore e con la testa. E’ stato scritto con l’intento di raccontare e condividere l’esperienza ed esternare il dolore dell’essere madre di un figlio disabile e sofferente per condividerlo e superarlo… ma anche per aiutare altri genitori ad orientarsi nel difficile mondo dell’autismo per fare fronte alla situazione. Tutto nella mia vita orbita intorno a mio figlio, ogni cosa che faccio è per fare fronte alla situazione e migliorare la nostra qualità di vita. Penso sia importante nutrirsi oltre che di doveri anche di piaceri e quando posso frequento un corso settimanale di Biodanza, dove finalmente mi rilasso. Inoltre frequento diversi percorsi psicologici di crescita personale nonché un gruppo di preghiera cristiana con altri genitori con simile esperienza. L’importante è accedere a tutte le risorse possibili per stare in piedi». Nel libro parla della sua storia di madre dalla gravidanza ad oggi : Cosa le ha fatto intuire che suo figlio era autistico? «Ero incinta è già temevo qualche problema, non so , sesto senso, però nei fatti mi sono accorta verso i due anni che era diverso dagli altri bambini, non cresceva come loro, era in ritardo nel linguaggio ed anche dal punto di vista motorio». Quando e come ha scoperto che suo figlio era autistico? «Fino ai due anni speravo che le cose sarebbero cambiate con il tempo, poi tutto è precipitato in quanto Edo ha iniziato ad avere diverse crisi epilettiche al Regina Margherita di Torino dove c’è un centro specializzato in diagnosi per l’autismo e dopo tre settimane di ricovero ci hanno dato la diagnosi». Qual è stata la sua reazione e quella dei suoi familiari e amici? «Disorientamento, eravamo tutti schoccati, rattristati e preoccuppati per il futuro di Edoardo. Io mi sentivo in colpa per aver messo al mondo un bimbo che stava male. Alcuni familiari si sono allontanati ed anche alcuni amici. Il senso di colpa ha lasciato poi il posto alla responsabilità. Oggi non mi sento colpevole della malattia di mio figlio ma accetto la responsabilità di aiutarlo a crescere e a vivere in questo mondo». Quali sono le cure che ha affrontato e sta affrontando suo figlio? «Subito a tre anni abbiamo iniziato con la logopedia e la psicomotricità privatamente. Il pubblico offriva poco ed è stato lo stesso neuropsichiatra ad indicarci percorsi privati. Quando ero ancora insieme al padre di Edo abbiamo provato ad iniziare anche l’ABA, (essendo la migliore terapia) ma quando sono rimasta da sola i costi erano diventati insostenibili. Edo fa tuttora logopedia, ed ha fatto A.B.A per un annetto…. In passato per due anni ha fatto con buoni risultati anche terapia Teachh all’ospedale San camillo di Torino dove a breve riprenderà un percorso di trattamento. E’ l’unica struttura pubblica sul territorio dove si fa terapia cognitivo comportamentale (efficace per trattare l’autismo). Inoltre Edo va in piscina una volta a settimana in gruppo con bambini come lui ed istruttori specializzati. In un periodo è capitato avessimo anche 4 interventi a settimana. Solo così migliorano questi bambini se bombardati di terapie». La vita di suo figlio è tanto diversa rispetto da quella degli altri suoi coetanei? Perché? «Certo. Purtroppo. Siamo isolati. Ad esempio sebbene invitati alle feste di compleanno, perché i genitori dei compagni di scuola di mio figlio sono sensibili e rispettosi, ci diventa però difficile partecipare. Edo non gioca come gli altri bimbi della sua età. Dopo la scuola Edo non è invitato ad andare a casa di amichetti normo dotati. Io mi salvo frequentando genitori ed i loro figli nella mia stessa situazione e condividendo insieme il tempo libero presso associazioni o parchi». Che bambino è suo figlio? «Il piccolo principe appena sbarcato sul pianeta terra. Edo vive nella dimensione più sottile e sensibile. I suoni forti possono dargli fastidio, gli odori anche. E’ molto sensibile agli stati d’animo delle persone che ha intorno…non puoi mentirgli. Ti legge negli occhi come sei messo dentro e reagisce al riguardo. La comunicazione per lui è anche senza parlare e a volte sembra parli solo perché vede che ne hai bisogno oppure perché proprio non lo ascolti. E’ molto affettuoso e spesso inaspettatamente se siamo in una sala d’attesa, in un negozio o sul bus lui si dirige verso una persona e gli “scocchia” un bacio. Mi fa fare un sacco di amicizie!! Gli ho chiesto di sceglierli belli e giovani ma lui non sempre mi ubbidisce!!! Edo è un bimbo felice spesso sorridente e di buon umore». Cosa ama di più di lui? «Che mi ama malgrado i miei limiti nel sostenere il dolore per la sua malattia/diversità. La sua capacità di amare tutto e tutti». Se ripensa oggi al giorno in cui hai scoperto il disturbo di suo figlio, oggi cosa prova? «Provo orgoglio per me stessa e per il mio cammino. Ho accettato la sfida di crescere un bimbo come Edo ed ho cambiato le mie credenze in merito alla vita, al concetto di malattia e di guarigione . Mio figlio ha iniziato a parlare a 7 anni e migliora giorno dopo giorno. Sebbene abbia bisogno di aiuto». Come l’autismo ha cambiato la sua vita e quella di suo figlio? «Come scrivo nel libro crescere un figlio con autismo in questo mondo è una sfida. Ma se accetti la sfida per quanto dolorosa sia hai la possibilità di accedere ad una visione diversa. Io ho accettato la sfida, cercando aiuto e soluzioni dall’ India a Lourdes, in percorsi terapeutici, dagli sciamani, nelle terapie ufficiali, nella medicina alternativa ed in quella scientifica. Ho capito alla fine che cambiando me stessa potevo aiutare lui. Più crescevo come essere umano più lui poteva manifestarsi in serenità ed io potevo accettarlo. Non dovevo cercare di guarire lui, ma ero io da guarire!!! Più io sto bene, più lui sta bene. Quando hai un figlio così non hai scelta, o soccombi al dolore e fai la vittima per sempre o trasformi il modo di vedere la vita radicalmente. Tutto questo è scritto nel libro». Cosa significa convivere con questo tipo di disturbo? «L’isolamento è la prima parola che mi viene in mente di nuovo. La seconda è complicato». Le è capitato qualche volta di scontrarsi contro il pregiudizio degli altri? «Si perché mio figlio, come tutti gli autistici, a vista non sembrano disabili, quindi spesso si è etichettati come cattive madri, non in grado di educare il figlio e si è riprese in pubblico da qualche ignorante. Allora devo spiegare che mio figlio non sta bene, che non posso farci nulla in quel momento. Chiedo scusa e me ne vado con Edo. E’ doloroso». Quali sono i luoghi comuni con i quali si è dovuta confrontare? «Un solo luogo comune: che la malattia di mio figlio fosse colpa mia e dipendesse da problemi psicologici. Così non è come dice la scienza e come ho capito io stessa». Chi o cosa le ha dato maggiormente la forza di reagire? «La fede in Dio. Ho tanti difetti ma tra i pregi ho quello di saper chiedere aiuto… anche diciamo, alle persone giuste». Cosa significa avere un figlio autistico? «Una grande chanche di crescita personale, basta giocarsela». Quali sono le difficoltà maggiori che affronta ogni giorno? «La stanchezza fisica e mentale nel gestire la quotidianità: accompagnamenti a scuola ed alle terapie e la gestione del tempo libero. Inoltre la difficolta a ricevere aiuto da chi per ruolo lavorativo sarebbe preposto a farlo, parlo di Asl e Servizi sociali. Il libro è un progetto che rientra nell’obiettivo che mi sono data: trasformare la mia esperienza di dolore in opportunità di servizio per altri bimbi in difficoltà. Non è tanto importante sapere perché ci accadono le cose ma per cosa fare? Con questo obiettivo le opportunità arrivano e questa della Fondazione dei bambini delle Fate è una meravigliosa opportunità». Oggi quando guarda suo figlio, cosa la spaventa di più? «Sinceramente voglio che lui abbia una mamma felice per ricevere l’esempio che malgrado qualsiasi difficoltà si può essere felici, che è venuto a fare un esperienza di gioia, più difficile di altre ma di gioia. Quindi mi sento la responsabilità della mia salute e della mia felicità per trasmettergli emozioni belle e per poterlo accudire bene. Ce la possiamo fare Edo, vedrai». Qual è il messaggio che si sente di lanciare a chi si trova ad affrontare la sua stessa esperienza? «Accettate la sfida. Coraggio. Inoltre non avete scelta. Chiedete aiuto, gli aiuti arriveranno. Il libro è un aiuto». Qual è la cosa migliore che una persona può fare per stare vicino ad un autistico? «Fin quando il bambino è piccolo è il genitore che deve essere sostenuto, non lasciateci soli, aiutateci a sostenere la responsabilità di crescere un bimbo diverso. Anche comprare il libro è un modo per sostenerci. Il libro è acquistabile in libreria, su amazon oppure direttamente da me, chiedendolo a rubiolo.alessandra@gmail.com».