Il nome di Amalia Pelosin ricorre continuamente all’interno della bottega del mercato equo e solidale. Tutti i soci la indicano come pietra fondamentale di questa costruzione. Lunghe cene a casa sua per discutere dello statuto e di come organizzare la bottega che avrebbe portato a Trofarello i prodotti di tutto il globo. Un impegno civile che molti hanno riconosciuto in Amalia e che oggi, alla vigilia della chiusura della bottega, fanno raffiorare ricordi, anche familiari. Stefano Francescon è il figlio di Amalia Pelosin. Da lei ha preso la volontà di impegnarsi nel sociale. Un po’ meno la voglia di non apparire. Ma la sua giovane età giustifica la sua esuberanza e la determinazione nel perseguire gli obiettivi. Così Francescon racconta gli anni caldi della creazione della bottega.
«Ho appreso della notizia della chiusura della bottega del Commercio equo e solidale con una certa tristezza. Voglio tornare per un attimo indietro al 1996, io e Rita (mia sorella) eravamo piccoli ma qualcosa mi ricordo. Penso per esempio alle tante riunioni fatte a casa nostra insieme ai tanti amici e amiche che hanno condiviso con mia mamma e mio papà l’impegno nel Commercio equo e solidale. Mi ricordo che la mia mamma aveva una voce squillante fino a tarda sera ed io scendevo le scale per dirle di non urlare e che volevo mi accompagnasse a nanna. Mi ricordo che qualche volta preparava la torta agli amaretti e c’era sempre qualcosa di dolce e salato da condividere. Il giorno che mia mamma e mio papà apposero la firma sull’atto costitutivo dell’Altromercato io c’ero e quella firma me la ricordo bene, soprattutto l’orgoglio di mia mamma nell’aver portato a termine l’idea di fondare questa realtà – spiega Francescon – Il vuoto per la sua scomparsa è molto forte, mia mamma ha fatto tanto per molte persone, senza mai chiedere nulla agli altri ma dando molto ma soprattutto era una mamma determinante nelle situazioni come è stata l’idea di fondare l’Altromercato. Mia mamma aveva una profonda convinzione che l’idea di un mondo e di un commercio più equo e solidale fosse importante ma soprattutto era importante che questa idea fosse condivisa con tanti trofarellesi, mamma diventò presidente dell’associazione, riconfermata e da quel momento a casa ci furono sempre scatoloni di materiale per i banchetti, per la formazione nelle scuole che a molti ragazzi delle mia generazione fece molto bene. Casa nostra era un continuo via vai di amici e amiche che discutevano delle idee con mia mamma, si facevano progetti e si discuteva in modo vivace ma sempre con grande rispetto.
Mamma e papà hanno sempre avuto tempo per noi, anche quando l’impegno in bottega divenne importante per i banchetti, i viaggi e gli incontri che mia mamma con altri volontari doveva fare a Torino e in altre città ad organizzare con le parrocchie i mercatini in giro per il Piemonte. Io ho il ricordo che molti pomeriggi andavo con mamma in bottega e la mia merenda era il cioccolato della bottega, che io ho sempre trovato squisito – continua Francescon che si lascia scappare qualche lacrima – Rita veniva meno perché era impegnata con le sue amiche ma quando poteva ci raggiungeva. Per mamma la bottega era un punto di riferimento, un modo per confrontarsi con gli altri, un modo sotto Natale per condividere con tanti trofarellesi e non lo spirito vero del Natale della condivisione. Mi ricordo che un Natale mamma era impegnata in bottega a fare pacchi e ogni anno mi regalava un presepe nuovo di terracotta, che aggiungevo al presepe grande che io, Rita e papà facevamo al caldo del camino di casa.
Mamma e papà hanno sempre viaggiato almeno fino a quando mamma è rimasta presidente, mi ricordo che li accompagnavo a Caselle e mamma mi abbracciava dicendo di fare il bravo con i nonni o con zii ai quali ci affidavano mentre partivano. Mia mamma e il mio papà erano orgogliosi dei viaggi solidali. Penso al Perù, all’Ecuador o ancora al Burkina Faso. Mi ricordo che quando tornavano dai viaggi, sempre molto stancanti ed emozionanti, organizzavano le serate per far vedere le diapositive con le foto scattate, avevano tantissime foto che facevano stampare e così le pareti di casa nostra avevano paesaggi mozzafiato, contadini e abitanti dei villaggi poveri fotografati che sorridevano. Mi ricordo però che mamma, che partiva sempre con grande gioia, tornò cambiata dal viaggio In Africa. La vedevo diversa e mi raccontava di quanto dovevo sentirmi fortunato rispetto ai bambini che vivevano là, mi raccontava di aver toccato per mano la povertà assoluta e l’impegno che i produttori avevano nel preparare i prodotti del Ctm.
La bottega è stata per la mia famiglia un orgoglio. Mia mamma andava spesso a compare ma anche a chiacchierare. Mi ricordo i profumi delle spezie quando cucinava, i profumi delle creme che usava per il viso; mia mamma ha fatto molto per l’Altromercato, io e Rita e papà siamo sempre stati orgogliosi dell’impegno di mamma, L’abbiamo sempre sostenuta e perdonata quando non veniva a coccolarci prima di dormire perché impegnata nei direttivi o nelle riunioni a casa nostra. Mamma manca a tutti, qualche giorno dopo che è mancata gli amici e le amiche della bottega le hanno dedicato un bellissimo articolo pieno di cose belle e di sentimenti puri, perché la mamma amava la bottega, l’ha difesa in tanti anni di attività. Negli ultimi anni però le cose sono cambiate. Noi siamo cresciuti prendendo strade diverse, lei ha continuato ad andare in bottega a comprare finché ha potuto, era ormai anni che non andava più come volontaria. Lo scorso anno durante la malattia mi chiese di accompagnarla per un’ultima volta perché voleva comprare delle cose, credo che fu l’ultima volta che la vide. Sono partito da quel 1996 per arrivare ad oggi, soffro nel sapere che la bottega si chiude. Qualche giorno fa dissi proprio a Rita che stanno finendo delle cose con le quali siamo cresciuti, mamma non c’è più, la bottega si chiude ma i ricordi quelli nessuno potrà mai toglierceli… nessuno; perchè la memoria, i ricordi sono la cosa più bella che abbiamo. So per certo che se la mia mamma potesse, rifarebbe tutto ciò che ha fatto perchè lei ci credeva molto».