TRENTO – Una vita dedicata al teatro. Ha calpestato i palcoscenici di tutto il mondo partendo da Trofarello. La trofarellese Maura Pettorruso, attrice, regista e drammaturga per il teatro che ha mosso i primi passi alla scuola di teatro di Moncalieri Teatranza Artedrama ormai da diversi anni si è stabilita in Trentino. L’abbiamo intervistata tramite WhatsApp a Trento, dove vive da qualche anno. Con una determinazione ed un entusiasmo travolgente risponde alle nostre domande. «Mi occupo di scrittura di testi, e della messa in scena di testi sia scritti da me che di testi di altri autori. Ultimamente quindi sono fuori dal palcoscenico, anche se le vesti dell’attrice sono quelle che ho vestito per la maggior parte del tempo della mia carriera teatrale».
Quando ha capito cosa voleva fare da grande? «Credo molto tardi, da un lato, perché non me lo sono chiesto per tantissimo tempo. Oggi, ripercorrendo un po’ il nastro della mia vita, credo di averlo capito molto presto. Credo che anche i miei genitori si ricordino quando, piccolina, giravo in tondo nella mia camera, parlando ad alta voce. Ecco, stavo inventando storie. Credo che fosse un modo per evadere da una situazione di salute che non era piacevole in quegli anni che mi procurava tante limitazioni. Questo è stato un modo di volare via da quella situazione. Penso sia stato importante, salvifico e forse è stato il seme iniziale della mia storia. Ho poi fatto un corso di teatro, spinta da mia madre, perchè era un momento in cui non potevo fare tanto sport. Lei forse non sa che con quel corso che mi spinse a fare ha cambiato la mia vita. Ma nella mia testa era ancora un gioco e non c’era ancora l’idea che potesse trasformarsi in una professione. Piano piano inizi a capire che in quel mondo del teatro ci stai bene. Quasi senza accorgermene la pietra della mia vita è rotolata su un palcoscenico dentro un teatro. Da li la storia è stata abbastanza semplice. Ho iniziato, molto giovane in Piemonte, studiando presso la scuola Teatranza Artedrama a Moncalieri e poi ho fatto altre esperienze. Ho scoperto poi quale fosse la forma di teatro che volevo coltivare. E sono arrivata in Trentino dove lavoro e vivo ancora oggi. Ho conosciuto una persona con cui avevamo prospettato l’idea di aprire una nostra compagnia teatrale che era esattamente quello che volevo fare. Non mi interessava infatti fare l’attrice scritturata in cui ti danno un testo da imparare a memoria. Volevo creare un qualcosa dove poter raccontare qualcosa di me, di noi, del gruppo. Quindi, 21 anni fa, faccio questa prima esperienza e da li la strada è stata sempre quella. Ho cambiato varie associazioni nel tempo. Quella con cui ho lavorato di più è stata la compagnia Trento Spettacoli, con cui abbiamo girato tutto il mondo. Sono stata a New York , a Innsbruck, Sofia, Belgrado, Anversa e molta Italia. Tre anni fa, un po’ prima del Covid, ho lasciato la mia compagnia storica per trovare una forma identitaria poetica che mi appartenesse di più e mi permettesse di spostare sulla regia e la drammaturgia. Così ho fondato, insieme ad alcuni colleghi, la Pequod Compagnia, una compagnia giovane che si occupa di drammaturgia contemporanea in cui testi e regie sono mie, mentre gli attori sono Stefano Pietro Detassis e Maria Vittoria Barrella con altri professionisti ed artisti a seconda delle produzioni e delle idee. Contemporaneamente continuo a fare regia e scrivere per altre compagnie che me lo chiedono». Quali sono i lavori più significativi della sua produzione artistica? «Sono tanti. Avendo lavorato con tante persone, sia come attrice che come regista e drammaturga, lo scenario è vario. Posso dire che, come attrice uno degli spettacoli che mi ha dato più soddisfazione e visibilità, è stata la “Stanza di Orlando” in cui vi è stata anche una sorta di consacrazione a livello nazionale, unospettacolo di 12 anni fa. Faccio però fatica a trovare iun punto perché per me è un qualcosa in costante evoluzione che cambia. Oggi forse lo spettacolo a cui sono più affezionata è “Zombie survival Kit” perché è uno spettacolo che mi ha permesso di lavorare su una nuova definizione poetica». Quali le difficoltà maggiori nel suo lavoro? «Far capire la fatica ed il lavoro che sta dietro. Il teatro non è solo quello delle grandi istituzioni e dei volti conosciuti. C’è una grandissima qualità nel teatro di ricerca, nel teatro di una drammaturgia contemporanea, meno visibile perché c’è una sorta di scetticismo. Difficile riuscire a sopravvivere, a livello economico, ma anche a trovare una propria identità artistica. Mi ritengo una persona fortunata perchè lavoro tanto e su cose che mi interessano. Non è così scontato. Ci vuole anche molta fortuna. Non è detto che qualità del lavoro corrisponda a possibilità». Maggiori soddisfazioni? «Il continuo scambio con colleghi e pubblico. Un mondo che ti permette di stare sempre in cambiamento. Quando finisci il lavoro in sala in cui sei stato anche mesi a lavorare ed incontri il pubblico. La soddisfazione è nel fatto che il testo abbia commosso, distratto, divertito. Insomma che sia piaciuto. Il sipario è la soddisfazione di questo lavoro». L’opera a cui è più legata? «Faccio fatica a individuarne una in particolare, avendo interpretato ruoli diversi. Sono più legata al teatro contemporaneo, al teatro del secondo 900, Samuel Beckeet o Arold Pinter o Armando Punzo. Figure legate alla ricerca artistica. Ovvio che tutti siamo consapevoli di quanto dobbiamo a Shakespeare e al teatro greco». Avremo il piacere di vederla in Piemonte? «Certamente. L’8 gennaio sarò per una settimana a Collegno con uno spettacolo di cui faccio la regia. Si tratta di una produzione Trentino-Piemontese: “A futura memoria”. Una occasione per tornare nella mia regione dopo tantissimi anni».