Era la notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007 quando esplose un incendio sulla linea cinque dello stabilimento ThyssenKrupp di Torino, in Corso Regina Margherita 400. Gli operai presenti vennero investiti da una getto di fuoco alimentato da olio. Morirono sette operai: il primo è stato Antonio Schiavone (36 anni), bruciato vivo e morto sul luogo, il giorno dopo si spensero Roberto Scola (32 anni), Angelo Laurino (43 anni) e Bruno Santino (26 anni). Tra ansia e speranza, i torinesi aspettavano la notizia che almeno gli altri tre operai si salvassero. Invece il 16 dicembre spirò Rocco Marzo (54 anni), il 19 dicembre è stata la volta di Rosario Rodinò (26 anni), mentre il 30 dicembre la stessa sorte toccò a Giuseppe Demasi (26 anni).
Abbiamo intervistato Stefano Peiretti, l’autore di ‘Non voglio morire. Torino 6 Dicembre 2007’, il primo libro che racconta la tragedia della ThyssenKrupp corredata dai racconti inediti dei familiari delle vittime.
Cosa ricordi di quella notte?
“La notte tra il 5 e il 6 dicembre me la ricordo al finestrino della macchina, ribaltato poi sullo schermo del televisore del salotto di casa. Avevo 19 anni. Un ragazzino come tanti che pensava a divertirsi con gli amici e a studiare per gli esami universitari. Ricordo che a casa avevamo la televisione accesa quasi tutto il giorno in attesa di conoscere le notizie che i telegiornali davano sugli operai. Ora possiamo solo continuare a tenere accesa la fiamma della MEMORIA di questi martiri, sensibilizzando sul tema della sicurezza. affinché non ci siano più morti sul lavoro. Bisogna compiere gesti concreti che rimangano nel tempo e che possano essere tramandati alle future generazioni. Ho dato così il mio contributo scrivendo ‘Non voglio morire’, titolo che richiama l’urlo disperato di Giuseppe Demasi avvolto tra le fiamme. Oggi è una memoria indelebile che rimarrà per sempre nella storia torinese e italiana. Nessuno potrà mai cancellarla!”
Come è nato il libro “Non voglio morire”?
Quando le famiglie mi hanno chiesto di scrivere un libro di memorie ciò che mi ha spinto e mi ha dato la forza di metter nero su bianco i loro vissuti e le loro emozioni, è stata la visione di quell’albero caduto. Sono andato di fronte a quel luogo che definisco nella mia introduzione il ‘Tempio del sacrificio umano dove Dio, quella notte, è morto tra le fiamme, ammazzato dalla stoltezza e dalla malvagità dell’uomo vile’. Questo tempio è stato profanato, abbandonato. E poi ho visto l’albero, ‘simbolo di quella notte, lasciato a terra e mai rialzato’. Ho voluto così ripartire da quell’urlo di Giuseppe che accomuna tutte e 7 le vittime per ‘rialzare quell’albero, immaginando che quel legno siano le pagine di questo libro
che mi hanno svelato il dramma di un mondo sconosciuto’. Ma quest’urlo echeggia ancora oggi nei luoghi di lavoro privi di sicurezza. Queste parole devono essere monito per la nostra società e per i nostri governanti”.
In che condizioni è quel luogo?
“Trovai solo desolazione e pianto. Squarci nelle pareti, vetri rotti e fuliggine cristallizzata dal tempo e dal calore di quell’esplosione fatale che non può esser cancellata nemmeno dai murales di quei ragazzini che per sfidare la
paura si avventurano in quei luoghi abbandonati nel cuore della notte. Quel luogo non può rimanere in quello stato. L’area di quella maledetta fabbrica, lasciata completamente al degrado, sfregio alla memoria, deve essere riqualificata. Lo si faccia creando la super procura, come indicato da Guariniello in una delle sue ultime interviste, contro gli infortuni e i morti sui luoghi di lavoro, ma promuovendo anche con le Università un hub che formi i nostri giovani sulle tematiche legate alla sicurezza. Non si tocchi però la linea 5, proprio la linea a ciclo continuo dove è avvenuta la tragedia affinché diventi un museo e tutti possano vedere con i propri occhi. Allora sì che la memoria continuerà a essere viva e forte ogni giorno e in questo modo si possa trasmettere alle nuove generazioni una delle pagine più drammatiche che la città di Torino ha vissuto”.
Cosa possiamo fare noi?
“Quando parlo di quest’evento, tutti in qualche modo hanno un ricordo indelebile di quel 6 dicembre. Ecco che chiedo a La Città di raccogliere questi ricordi dei nostri concittadini che vorranno contribuire. E’ un piccolo gesto che può aiutare a ricordare il momento tragico che il Piemonte ha vissuto ormai quindici anni fa. Poi sicuramente bisogna continuare a parlare di sicurezza sui luoghi di lavoro anche sul nostro territorio. A luglio, se ricordo bene, proprio qui a Trofarello, un uomo restò ustionato mentre usava un decespugliatore e fu salvato da un vigile. Bisogna parlare tutti i giorni di queste tematiche e non sarà mai abbastanza. Spero di poter presentare al più presto ‘Non voglio morire’ a Trofarello, dato che molti concittadini mi hanno chiesto più volte”.