Si svolgeranno domani, venerdì 12 agosto, nella chiesa di Santa Rita, i funerali di Giovanni Reinetti, mancato l’8 agosto all’età di 84 anni, protagonista della prima unione civile a Torino con Franco Perrello.
«Con Gianni se ne va un simbolo per le nuove generazioni, di cui però resta l’esempio. La memoria che ci resta è quella di continuare a lottare per una società migliore – commenta il trofarellese Stefano Francescon, che negli anni passati è stato assistente della coppia e loro portavoce dall’inizio della loro vicenda pubblica – Gianni si spendeva di continuo – prosegue in una lunga dichiarazione all’ANSA Francescon – Andava anche ai Pride e non solo a Torino, finché ha potuto con le forze. Chiunque ha il dovere di lottare e di impegnarsi. Sono stato vicino a loro dal primo momento in cui hanno avviato le pratiche per l’unione civile, ma la loro storia era iniziata il 14 luglio del 1964: è stata la più longeva d’Italia e l’hanno girata tutta insieme. La loro memoria dev’essere viva. È un pezzo di storia di Torino”. Prima di Reinetti e Perrello in Italia si era unità civilmente un’altra coppia, due donne, in una casa di riposo. “Fu il sindaco Giuseppe Sala a celebrare l’unione e anche in quel caso una delle due morì poco dopo” riferisce Francescon. Per la coppia di Torino “il tema – continua Francescon – fu quello delle procedure d’urgenza anche per la pensione di reversibilità, ma soprattutto per le precarie condizioni di salute di Franco, stava già molto male. “Gianni fu il primo a ottenerla” dice. Erano in contatto con Monica Cirinnà, che andarono a trovare in Senato». Abbiamo chiesto a Francescon di tracciare un ricordo di Reinetti. «Quando conobbi Franco e Gianni fu un’emozione unica, sembra ieri… e invece sono già passati tanti anni da quando mi spesi insieme a tutta la comunità LGBT torinese per rendere il loro desiderio di sposarsi ed essere una famiglia di serie A di fronte allo Stato qualcosa di reale. Fu emozionante la loro unione civile. Le emozioni furono davvero forti. Torino e l’Italia fecero un passo avanti incredibile. Penso ai viaggi e alle emozioni vissute insieme a loro, l’onda mediatica che li travolse, le tante persone che volevano incontrare loro per ascoltare la loro storia, l’invito in Senato e in televisione – racconta Francescon – Un giorno Franco ci disse che non ce la faceva più a viaggiare così tanto e che avremmo dovuto continuare a lottare senza di lui. Gli siamo stati accanto fino alla fine. Mi ricordo la mattina che andò via da Gianni. Alle quattro corsi da Gianni che dopo 53 anni aveva perso il suo compagno con cui era sposato da solo 5 mesi.
Gianni fu il primo in Italia ad ottenere la pensione di reversibilità dal proprio marito. Questa fu un’altra battaglia vinta che gli permise di tenere la casa acquistata e vivere con serenità. Nei mesi prima che Franco se ne andasse, aveva iniziato a scrivere poche pagine di quello che sarebbe diventato il libro sulla loro vita dal titolo “14 luglio 1964”, giorno del loro primo bacio. Realizzammo questo libro con Gianni e iniziammo a girare tutta l’Italia per raccontare questa storia d’amore. Gianni si spese in ogni modo senza risparmiarsi anche per tappe lontane da Torino. Conoscendo veramente tanta gente e aiutando molte mamme e papà che nei loro figli vedevano delle persone diverse solo perché omosessuali, le serate erano condite da tante domande sull’amore, la loro fede profonda e ciò che significava essere una famiglia. Dopo il libro arrivò il documentario “Franco e Gianni una storia di Torino”. Gianni da solo ripercorre con i suoi amici le tappe della Torino dei diritti del 1964 intrecciate a quella di oggi, un viaggio nell’evoluzione della città dei diritti. In tutto questo le interviste, gli incontri, gli abbracci con i tanti cittadini e le persone importanti che ci sono state vicine. Nel 1964 Torino e l’Italia non erano ospitali nei confronti degli omosessuali. Loro ce l’hanno insegnato ma sono stati una coppia che senza mettere i manifesti a testimoniato tutta la vita l’amore che può andare oltre le barriere e abbattere i muri dei pregiudizi. Oggi le cose stanno lentamente cambiando ma non ancora del tutto – continua Francescon – Personalmente mi sento onorato di quanto ho fatto e di aver vissuto con loro tutto questo. Sono stati parte della mia e nostra famiglia che con Gianni se ne va. Abbiamo tanti ricordi con loro, tante immagini che non dimenticherò mai. Come quando per dirne ancora una Gianni venne con me invitato dal Treno della Memoria in Polonia a vedere i lager. Pianse di fronte al muro delle fucilazioni e parlò ai tanti ragazzi. Fu un’emozione unica. Avere la forza a 81 anni di varcare quei cancelli con il freddo e le emozioni non è da tutti. Non li dimenticheremo mai». Adesso cosa resta? «La memoria deve essere viva e per esserlo bisogna continuare a lottare per una società più aperta verso le minoranze e per avere più diritti questo era la volontà loro».