CENTRO – Preside di scienze politiche, insegnante di storia delle dottrine politiche, il professore trofarellese Corrado Malandrino è un profondo conoscitore dell’Europa e dei problemi che da qualche anno deve affrontare il vecchio continente. Professore ma verso quali lidi stiamo andando? Brexit e Covid-19, dilagata in tutto il mondo ma soprattutto in Europa mettono a dura prova l’esistenza politica del nostro continente. «Al punto di far saltare tutti i bilanci dei paesi membri con disoccupazione crescente, deficit alle stelle e diminuzioni dei PIL che hanno costretto la BCE a rilanci maggiorati del Quantitative Easing (QE, il noto bazooka messo a punto dal presidente Mario Draghi e continuato con Christine Lagarde), e la Commissione UE e l’Eurogruppo a varare misure (MES, SURE, Recovery Fund) che sono in attesa di un’approvazione definitiva da parte del Consiglio Europeo – esordisce Malandrino – A complicare ulteriormente la tenuta dei buoni rapporti tra i popoli che formano la comunità europea, e a implementare i pericoli incombenti sulle istituzioni dell’UE, si aggiunge dal 5 maggio 2020 la sentenza del Tribunale costituzionale federale tedesco sulla legalità del programma di acquisto di bond da parte della BCE, il Quantitative Easing appunto.
Nella sostanza giuridica il Tribunale costituzionale tedesco sembra non riconoscere la correttezza – in punti fondamentali quali la “proporzionalità” delle manovre autorizzate col QE e la difesa “dell’identità” nazionale tedesca dai danni che proverrebbero da tale mancanza di proporzionalità – della sentenza emessa nel 2018 dall’Alta Corte di Giustizia europea che aveva dichiarato legittimo e legale il QE e, a sua volta, senza contestarne la legittimità, ne afferma nulla la legalità se non verrà dimostrata la corretta applicazione “proporzionale” che a suo avviso non sussisterebbe. Il Tribunale dà perciò tre mesi di tempo alla BCE, e alle istituzioni europee connesse e competenti, per dimostrare l’esistenza di tale “proporzionalità” con argomenti e prove convincenti.
Il presupposto sul quale si basa la sentenza del Tribunale costituzionale tedesco in questa plateale invasione di campo delle competenze esclusive europee risiede probabilmente nella cosiddetta “clausola di eternità” insita nella costituzione tedesca, secondo cui su determinate materie fondamentali inerenti diritti e doveri inalienabili, tra cui la difesa appunto “dell’identita” tedesca, il Tribunale costituzionale manterrebbe la sua competenza primaria ed esclusiva». Quali problemi politici potrebbero nascere? «In primo luogo, se veramente allora la competenza sulla moneta nazionale sia stata trasferita completamente da parte della Germania (e di conseguenza da parte degli altri paesi membri) all’Unione europea, come recitano il Trattato di Maastricht e tutti i successivi». E poi? «Se una logica simile a quella adottata dal Tribunale costituzionale tedesco prevalesse, che fine farebbe il famoso criterio della prevalenza del diritto comunitario sui diritti nazionali in presenza di materia a competenza esclusiva e/o prevalente dell’UE? Che succederebbe, per esempio, se le corti costituzionali della Polonia e dell’Ungheria potessero affermare di fronte all’Alta Corte europea il loro fondamentale e insindacabile diritto di approvare legislazioni palesemente contrarie allo Stato di diritto e alle regole democratiche per difendere la propria “identità”? La delimitazione operata in effetti dal Tribunale costituzionale tedesco nell’individuare il valore “dell’identità” come fondamentale e costituzionale ha un curioso retrogusto nazionalista e sovranista. Da questo punto di vista, la sua sentenza possiede i requisiti per diventare nei prossimi anni un caso di studio non solo per i giuristi ma anche per gli studiosi e gli storici del pensiero politico». Parliamo del futuro dell’Europa? «Non sarebbe difficile immaginare quale caos istituzionale si potrebbe produrre. In questo quadro, la decisione del Tribunale costituzionale federale tedesco assume tutto il suo rilievo di potenziale strumento di scardinamento e di disgregazione del tessuto istituzionale europeo, come del resto farebbe supporre l’intenzionalità del ricorso fatto da alcuni membri dell’Alternative für Deutschland, divenuto ormai, da raggruppamento di professori antieuro che era alle origini, il partito politico dei sovranisti tedeschi.
Da questa prospettiva, assume nuove dimensioni la crisi del processo di unificazione europea che si arrotola su se stessa da quasi due decenni, a partire dalle difficoltà incontrate dalla piena attuazione del Trattato di Maastricht sui terreni più vicini alla sfera politica, con l’ingloriosa fine del Trattato di Roma del 2004 e i limiti del trattato di Lisbona. Il caos che pervade su più fronti la vita dell’UE oggi – dai debiti sovrani, e le loro tempeste sull’euro, alle disfatte nella battaglia al terrorismo e in tema di difesa e sicurezza; dalle migrazioni ai problemi energetici e ambientali – mette forse in rilievo agli occhi di noi europei il pericolo che, in fin dei conti, quell’unione «sempre più intima» che dovrebbe trovare realizzazione in una federazione europea potrebbe davvero rivelarsi impossibile da raggiungere. E questo sarebbe un vero disastro.
Molti – ma non io – cominciano a pensarlo o a convincersene. Specialmente oggi, alla luce di due grandi problemi politici che la pandemia ha messo in grande rilievo e che toccano due aspetti essenziali riguardanti le scelte che l’Europa dovrebbe fare per uscire dal guado in cui si trova e arrivare a un’unione politica più matura e completa: il rapporto delle sue istituzioni – e di quelle di tutti i suoi Stati membri – con i princìpi della liberaldemocrazia e l’esigenza di una maggiore solidarietà tra le genti europee, senza la quale l’anelito alla pace e l’integrazione economica non possono più bastare per assicurare una vita soddisfacente, sicura e capace di nuovi sviluppi all’Unione. Parlando di (mancanza di) solidarietà, è sotto gli occhi di tutti la contraddizione che divide il blocco dei partner del nord guidati dalla Germania e dai Paesi Bassi, che non sembrano avvertirla sufficientemente, dal blocco dei paesi mediterranei guidati da Francia, Italia e Spagna, sul problema dei cosiddetti “coronabond” o “eurobond”. Certamente alcune istituzioni europee, dopo i primi tentennamenti, come nel caso della BCE, hanno già preso decisioni di grande importanza nell’aiuto eccezionale da dare alle popolazioni europee con la possibilità di mettere a disposizione un ingente finanziamento di molte centinaia di miliardi di euro da spendere oltre al budget previsto proprio per le emergenze legate alla pandemia. Anche la Commissione europea e il Parlamento, per bocca dei loro presidenti, hanno manifestato disponibilità. Ma cosa deciderà il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo cui spetta l’ultima parola? Questo è però il momento di superare reticenze e immobilismi facendo scelte più qualificanti sul piano dell’avvicinamento a una vera Europa unita sotto i profili finanziario, fiscale e politico.
Non meno grave è la tendenza antidemocratica e illiberale che si sta manifestando negli ultimi anni negli atti politico-istituzionali di alcuni membri del patto di Visegrad (Polonia e Ungheria), che introducono un’altra gravissima contraddizione nella vita e nelle regole dell’UE. Essa è acuita dalla recente decisione del capo ungherese di farsi votare i pieni poteri (una vera scivolata verso una soluzione quasi dittatoriale incompatibile con l’identità, e le leggi europee) con la giustificazione apparente, ma in verità priva di fondamento, delle misure necessarie per contenere la pandemia. Che tale giustificazione sia insostenibile lo dimostra l’evidenza che l’Ungheria, pur toccata anch’essa dal Covid-19, non presenta la situazione di gravità ben più visibile di altri paesi come l’Italia, la Spagna, la Francia, in cui più drammatiche – sia quantitativamente sia qualitativamente – sono le cifre dei contagi e dei decessi. Eppure in nessuno di questi paesi, pur in presenza di draconiane misure di contenimento, sono approvate scelte che vanno contro i princìpi della liberaldemocrazia.
A questo punto occorre segnalare come l’emergenza sanitaria, cui si aggiungono fatti irricevibili come la sentenza del Tribunale costituzionale tedesco, non solo torna a evidenziare i ritardi, l’incompletezza e la fragilità del quadro politico-istituzionale in cui il progetto europeo novecentesco corre il rischio di arenarsi. Si sta creando una situazione nuova che probabilmente esige decisioni (che non siano puri aggiustamenti di comodo) non più rinviabili sul terreno appunto della solidarietà europea e della difesa dei principi di libertà e democrazia contro i più arrabbiati sovranisti e nazionalisti. Ci si chiede se proprio con tali avversari l’europeismo del XXI secolo dovrà confrontarsi per trarre da questa drammatica emergenza lezioni utili ad aggiornare e riorientare il progetto europeo, salvaguardandone lo spirito originario e garantendo la realizzazione delle sue enormi e ancora intatte potenzialità. Resta la domanda campale – conclude Malandrino – riusciranno i capi e i popoli dell’Europa nei fatti dei prossimi mesi a far valere il principio che non può sussistere l’unità economica e politica senza il rispetto dei valori liberaldemocratici e della solidarietà?».