CENTRO – Quale potrebbe essere il futuro della scuola? Come potrebbero affrontare gli istituti scolastici l’apertura del prossimo anno, in questi tempi di pandemia, in cui allievi e insegnanti dovranno convivere con il Covid 19? Lo abbiamo chiesto al Professor Gianni Oliva, scrittore, ex insegnante con una lunga esperienza da preside e la carica di assessore alla cultura dal 2005 al 2010 nella giunta Bresso.
«Stiamo per tornare alla normalità e quindi è giusto pensare a cosa ci possiamo portare dietro dell’esperienza di questo periodo. Ci sono alcune eredità di questa quarantena per quanto riguarda il mondo della scuola. Il primo è la lezione online che comunque non può e non deve assolutamente sostituire alla scuola come noi la intendiamo – esordisce Oliva – La scuola è relazione, è scambio, è confronto, è stare insieme. Possiamo magari pensare che qualche lezione, qualche spiegazione, qualche esercizio possa essere riproposto attraverso la ripresa video e che possa essere messo a disposizione non solo degli allievi assenti per motivi di salute, ma anche degli alunni che hanno voglia di fare un ripasso, magari anche di tutti cittadini. Io non penso che le lezioni debbano essere fatte totalmente in streaming, perché la vita di una classe è fatta anche di interazione, di battute. Non si può cogliere lo spirito della classe se non si è all’interno di quel contesto. L’interno di una classe si comprende anche attraverso gli sguardi, così come l’umore, la temperatura della classe, altrimenti si rischia di fare battute che vengono fraintese e che magari danno poi luogo soltanto a delle polemiche. Penso che possano essere divulgate attraverso le lezioni online qualche spiegazione di un teorema di geometria, piuttosto che la lezione di un filosofo o magari qualche cosa legata alle prime esperienze di scrittura e di conto della scuola primaria – continua Oliva – C’è anche un altro aspetto che non va assolutamente sottovalutato e che anzi andrà valorizzato in modo consistente. Nel mondo della cultura io credo si debbano riscoprire gli spazi all’aperto. Storicamente il mondo antico faceva tutto all’aperto, nelle piazze oppure nei templi e nelle agorà. È vero che il mondo greco e il mondo romano potevano avvalersi di una latitudine migliore rispetto a quella in cui viviamo noi oggi, potendo giovare quindi di climi più temperati. Resta pur vero che da noi, dalla metà di marzo a tutto ottobre, ci sono delle giornate in cui si può stare all’aperto. E allora credo che per il futuro sarà necessario riscoprire il gusto degli spettacoli dal vivo. Ma anche dei dibattiti, delle conferenze, delle chiacchierate fatte in una piazza, fatte in un parco, fatte in un luogo nel quale si può respirare l’aria buona e non semplicemente nel chiuso di una sala consiliare o di un teatro di un luogo comunque chiuso, deputato agli incontri invernali. Questa è una riscoperta che dovremmo fare, perché fare le cose all’aria aperta vuol dire farle con maggiore agilità, freschezza e vuole anche dire tra l’altro attirare l’attenzione di qualcuno che passa lì vicino e magari, entusiasmato dal suono della musica o, perché no, dal tono, dalla voce o dalle cose che racconta il conferenziere, si ferma e fluisce di un qualche cosa che non sarebbe andato ad ascoltare dovendo partire apposta per ritrovarsi seduto in un luogo chiuso».