CENTRO – Dal laboratorio analisi alla lotta al Covid 19. Antonella Zanin racconta la sua esperienza all’interno dell’ospedale Santa Croce. «Da sempre abito a Trofarello, nata e vissuta qui, figlia di emigrati veneti.
Conosco ogni angolo di questo paese che nel corso degli anni ha mutato il suo aspetto non solo paesaggistico ma “sociale” – racconta la Zanin – Dopo 9 anni al Mauriziano di Torino, dal 1989 sono in servizio come tecnico di laboratorio di Anatomia Patologica all’Ospedale Santa Croce di Moncalieri. Sono un tecnico di laboratorio che in questi due mesi ha visto ridurre il lavoro, legato agli interventi di sala operatoria e ambulatoriali; ma non per questo io e le mie colleghe siamo rimaste a guardare senza fare nulla, infatti abbiamo dato la nostra disponibilità per altre necessarie ed impegnative mansioni pur di renderci utili in ospedale in questo tragico momento. Abbiamo collaborato con i reparti Covid facendo l’emogasanalisi che è un esame che serve per misurare la concentrazione di ossigeno nel sangue, utile nelle patologie polmonari come le polmonite da Covid. Il personale, essendo bardato con le tute, non poteva uscire dai reparti, consegnava o a noi la siringa con il sangue, noi andavamo nelle postazioni dislocate dove si trovavano le apparecchiature, eseguiva o l’esame e portavamo loro il risultato. Dal punto di vista umano sapere che nei reparti Covid tante persone sono morte, ci ha lasciato dentro un grande senso di vuoto, quelle persone potevano essere nostro padre, nostra madre. E’ il fatto che i decessi siano avvenuti, per ovvi rischi di contagio, senza alcun familiare vicino che potesse confortare il loro caro, aumenta enormemente il senso di tristezza – continua la Zanin – Ciò che si è visto in televisione è tutto vero, non è stata finzione. Due mesi fa avevo scritto al Sindaco di Trofarello per manifestare tutta la mia rabbia per i comportamenti che riscontravo all’uscita dal lavoro, gente che, nonostante gli appelli, continuava a vivere come se niente fosse, ad esempio si arrabbiava se al supermercato le veniva proibito di entrare in due. Ho avuto la percezione che quello che stava accadendo all’interno degli ospedali fosse qualcosa che non riguardasse la collettività, qualcosa distante anni luce, avrei voluto un po’ più di rispetto per chi, in quei momenti, stava cercando di salvare la nostra memoria storica, e non solo!
Adesso, dopo due mesi, si sta cercando di ritornare alla normalità, se di normalità si può parlare. L’ospedale sta riprendendo poco per volta il suo ritmo “normale” ma senza abbassare la guardia, perché come sappiamo saranno i nostri comportamenti a fare la differenza. Tutto questo, io ne sono convinta, renderà diversa la nostra vita, niente sarà più come prima, passerà molto tempo prima di tornare a stringerci la mano o a sfiorarci, ci sarà sempre quel metro a separarci e dovremo lavorare molto prima di riappropriarci della nostra vita.
Anche per i nostri figli tutto è cambiato, costretti a trascorrere intere mattinate in video lezione, a casa, soli; ha condizionato noi che, arrivando a casa dal lavoro, li pregavamo di non abbracciarci per paura di poter trasmettere loro qualcosa.
Ma quello che più mi preoccupa in questo momento è che, quello che stiamo vivendo ora, le lunghe code fuori dai negozi, le mascherine che ti rendono difficile riconoscere le persone e i loro stati d’animo, il distanziamento, stia diventando la normalità in questo paese.
Si parla di vacanze con il metro a portata di mano, di ristoranti dove non si potrà sedere più o meno vicini allo stesso tavolo se non con qualcuno convivente, e questo a causa di un nemico verso il quale abbiamo, per il momento, poche armi a disposizione.
Ma la situazione in ospedale adesso com’è? «Adesso in ospedale la situazione è molto migliorata e i malati stanno diminuendo. Posso solo auspicare che, in un tempo non troppo lontano, tutto questo rimanga solo un ricordo, un tempo “sospeso” che ci faccia apprezzare giorno dopo giorno quello che abbiamo.
Sicuramente questa esperienza lascerà in ognuno di noi qualcosa di importante… me lo auguro».