Domandate ad un “nativo digitale”, magari proprio vostro figlio, se conosce il significato di queste due sigle: OPAC e SBAM. Il primo è il catalogo online del Sistema Bibliotecario Nazionale, il secondo è il portale del Sistema Bibliotecario Metropolitano di Torino. Attraverso internet, col cellulare o il pc, ci danno la possibilità di sapere dove si trova praticamente ogni libro pubblicato in Italia e di farlo arrivare nella biblioteca vicino a casa nostra. Non stupitevi se il vostro nativo digitale, esperto di Instagram e Tik Tok, non ne saprà nulla: avere confidenza con la tecnologia non significa necessariamente sapere anche come usarla per trovare e organizzare conoscenze.
Il 7 febbraio scorso il CGT ha organizzato una serata di informazione sul cyberbullismo, durante la quale si è parlato anche dei rischi legati all’utilizzo di computer e telefoni cellulari da parte di bambini e adolescenti non guidati e sorvegliati da adulti consapevoli; sempre più spesso il cattivo uso della tecnologia al di fuori della scuola provoca problemi di relazione e di comportamento che poi sono difficili da gestire anche all’interno del tempo e dello spazio scolastico. Come può rispondere la scuola a questo nuovo fronte problematico? Nel 2007 il Ministero dell’Istruzione emanò una direttiva (Prot. n° 30 del 15 marzo) che proibiva l’uso dei cellulari durante le ore di lezione. Ma l’applicazione di questa normativa è tutt’altro che uniforme e, sullo stesso territorio, vi sono scuole che obbligano i ragazzi a consegnare il telefono all’ingresso della prima ora, mentre altre tollerano la loro presenza nelle cartelle e sui banchi degli allievi.
Rispetto al 2007 però, il contesto è molto cambiato; le cose sono oggi molto diverse sia per quanto riguarda la diffusione dei dispositivi mobili fra i giovanissimi e sia in riferimento alle possibilità tecniche offerte dagli strumenti disponibili. Perché allora, invece di concentrarsi sul contenimento dei rischi la scuola non prova a puntare sulle opportunità e i benefici che le tecnologie digitali possono portare all’apprendimento e all’insegnamento? Perché non ribaltare l’approccio e fare dei telefoni cellulari (anche) uno strumento di studio, un attrezzo che i ragazzi debbano e possano adoperare per studiare, fare attività di ricerca, fare esperimenti, condividere materiale didattico e compiti? Anche perché in parte questo oggi avviene già e molti ragazzi utilizzano i telefoni cellulari per controllare i compiti, scambiare materiali e consultare il registro elettronico.
Le esperienze e le proposte didattiche in questo senso sono ormai numerose, il Ministero stesso è passato dal divieto totale del 2007 ad avere appositi gruppi di lavoro sulle didattiche innovative e sull’uso dei dispositivi personali mobili nella scuola. Ne è emerso un “decalogo” (pubblicato nel 2018 dal MIUR, (https://qrgo.page.link/hf6q7)) molto interessante, nel quale si dice fra l’altro che “Ogni novità comporta cambiamenti e ogni cambiamento deve servire per migliorare l’apprendimento”, che “bisogna insegnare a usare bene e integrare nella didattica quotidiana i dispositivi, anche attraverso una loro
regolamentazione” e che “proibire l’uso dei dispositivi a scuola non è la soluzione” ma, anzi, ogni scuola deve adottare una “politica di Uso Accettabile (PUA) delle tecnologie digitali” e promuovere “le condizioni strutturali per l’uso delle tecnologie digitali.” Per affrontare questa sfida di innovazione è necessaria, ci sembra, una volontà condivisa e anche molta, molta formazione, sia da parte del corpo docente che da parte genitoriale. Si tratta di un percorso che per essere efficace dovrebbe essere fatto assieme, in collaborazione e condivisione, fra la Scuola e le famiglie. Il Comitato Genitori Trofarello è disponibile a fare la propria parte per collaborare con la scuola nel creare le condizioni adatte ad un uso migliore e formativo delle tecnologie digitali e dei dispositivi mobili individuali.
(il Coordinamento del CGT)