CENTRO - La notizia di una mozione della Lega sulla Giornata del ricordo ha attirato l’attenzione di una serie di cittadini. Gianluca Mantoani e Luca Eandi, presidente della Sezione Locale ANPI, intervengono nel dibattito. «Come persona appassionata di storia e anche come cittadino convinto che la costruzione di una memoria storica condivisa e (seriamente) documentata sia un fondamento necessario della convivenza civile, ritengo che una memoria storica condivisa e documentata non debba essere selettiva, non può prendere solo alcuni elementi di un contesto e tralasciarne altri – esordisce Mantoani – Costruire una memoria storica condivisa è possibile, con una certa dose di onestà intellettuale, se non si hanno secondi fini di natura politica, tenendo presente che rendere il tributo della memoria alle vittime di un conflitto non implica l’idea che tutte le parti coinvolte fossero uguali e che i valori di riferimento, col tempo, finiscano per annullarsi. In breve: il Ricordo non giustifica la confusione.
E la confusione, qui, viene da quel che si tace piuttosto che da quel che si dice». Mantoani si spiega meglio? «I consiglieri trofarellesi della Lega, Cauda e Cagnin, citano, nell’articolo pubblicato la settimana scorsa, le parole dell’ex Presidente Napolitano: “vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse nel Trattato di Pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica”. Parole che fanno parte di un discorso tenuto da Napolitano il 10 febbraio 2007 al Quirinale, un discorso che merita di essere letto interamente: ampio e non di chiusa rivendicazione nazionalistica, ma nel quale, anzi, si dice chiaramente che dagli orrori disumani della guerra emerge “un’Europa nata dal rifiuto dei nazionalismi aggressivi e oppressivi, da quello espressosi nella guerra fascista a quello espressosi nell’ondata di terrore jugoslavo in Venezia Giulia”.
Il punto è proprio qui: concentrare l’attenzione sulla tragedia dell’esodo degli italiani dall’Istria e dalla Dalmazia e sulle violenze subite da quelle popolazioni, senza dire mai gli orrori che le forze di occupazione italiane commisero pochi anni prima negli stessi territori, significa mutilare la verità, evitare, colpevolmente, di ricordare quanta parte delle sofferenze e della barbarie subita da migliaia di italiani sia purtroppo anche tragica conseguenza della barbarie inflitta da altri italiani ad altre famiglie innocenti nello stesso territorio.
Per fare qualche esempio, è documentato che il generale Mario Roatta, comandante della II° armata italiana in Jugoslavia, aveva ordinato di fucilare persino chi imbrattava le sue ordinanze e chi sostava nei pressi di opere d’arte e considerava corresponsabili degli atti di sabotaggio anche le persone abitanti nelle case vicine. Il prefetto del Carnaro Temistocle Testa, il 12 luglio 1942 presso il villaggio di Podhum (vicino a Fiume) ordinò a militari italiani, coadiuvati dalle camicie nere, di fucilare oltre cento uomini. Nel febbraio 1942 Lubiana fu circondata con reticolati di filo spinato, furono rastrellati 18.708 uomini e nel solo mese di marzo del 1942 gli italiani fucilarono 102 ostaggi. Se pensiamo a quanta emozione suscita ancora in noi, oggi, il ricordo della strage delle Fosse Ardeatine, possiamo facilmente immaginare in quale quadro maturarono le tragedie che hanno colpito le popolazioni italiane di Istria e Dalmazia
Per questo un vero Giorno del Ricordo dovrebbe commemorare assieme le vittime italiane e quelle yugoslave delle violenze su base etnica che fra il 1941 ed il 1945 hanno insanguinato quelle sfortunate terre. Mentre invece assistiamo ad un fiorire di iniziative, mozioni e dichiarazioni da parte di esponenti della Lega in molti comuni italiani (a Chieri in questi giorni è sorta una polemica simile, ma ovunque se ne trovano), iniziative tutte tese a “rinnovare la memoria della tragedia degli italiani” come se gli italiani non avessero preso parte attiva alla guerra, causando a loro volta tragedie e dolorose memorie.
Iniziative di parte, volutamente prive di ogni riferimento al contesto storico più ampio del conflitto, e rese ulteriormente poco credibili dal fatto che il segretario di quello stesso partito, quando era Ministro dell’Interno, si è addirittura rifiutato di partecipare alle commemorazioni della Liberazione, ovvero proprio la fine di quel conflitto, la sconfitta di quel nazifascismo che ha prodotto tutti gli orrori, le divisioni e le barbarie che in tanti luoghi e momenti diversi si commemorano – conclude Mantoani – Questo uso strumentale della storia per acquisire un po’ di visibilità e qualche titolo di giornale, fa un pessimo servizio sia al Passato che al Presente».