CENTRO – Una figura leggendaria aleggia nel castello Vagnone di Trofarello. Una figura nata dalle dicerie e dalle sensazioni percepite da chi quel castello l’ha abitato che poi, col tempo, si sono trasformate in racconti e leggende. Giacòt ross o Giacò Tross, a seconda della fase evolutiva del personaggio, è il fantasma del castello appartenuto alla famiglia Vagnone fino alla fine del secolo scorso. Una figura che mesce abilmente nozioni storiche, dicerie, credenze e sensazioni. Ad aiutarci nella descrizione di questo leggendario personaggio sono Il sindaco Visca, cui tremano le gambe ogni volta che c’è da parlare di avvenimenti di storia minima, ed uno dei diretti discendenti della famiglia Vagnone: Giovanni Vagnone di Trofarello. «Rossa era la livrea dei servitori dei Vagnone al castello, ed era una figura che “proteggeva” la famiglia dalle intrusioni – esordisce Giovanni – Quello che mi raccontava mio papà era ciò che gli raccontava il suo: mio nonno a inizio novecento si era svegliato di notte perché si sentiva tirare un piede.
Ed era sceso nel cortile, dove c’erano anche servitori vari che si erano svegliati nello stesso modo.
E da lì avevano visto il fumo in una parte del castello per un inizio di incendio che erano riusciti a spegnere sul nascere.
Un altro racconto è relativo alla seconda guerra mondiale, quando i nazisti occuparono il castello per metterci una loro postazione. Mio nonno era ricercato come partigiano e mio papà venne anche messo al muro per obbligare mia nonna Maria Leumann, che era travestita da cameriera a tradirlo, cosa che non fece, tenendo la parte. Il mattino dopo invece di continuare l’allestimento della posizione i tedeschi se ne andarono via in fretta e furia, e anche lì ci fu una spiegazione “soprannaturale”.
Entrambe ovviamente leggende, ma quello di “sentirsi tirare” mi è stato raccontato anche da altri». I racconti del giovane Vagnone appunto sono il frutto di racconti dei propri avi, tramandati nel corso dei secoli. Ma quali sono le origini di questa figura della giacchetta rossa? Il sindaco Visca prova a darne una lettura facendo riferimento al suo bagaglio di cultura popolare: «Non so se sia favola o leggenda: alla fine dell’estate 1706 e precisamente il 7 settembre si svolse la battaglia decisiva contro i francesi». La battaglia metteva fine all’assedio di Torino dopo 117 giorni. La famosa battaglia combattuta dall’esercito imperiale comandato dal Principe Eugenio di Savoia, giunto a soccorso del cugino Vittorio Amedeo II, dopo una lunga marcia attraverso la pianura padana. L’Assedio di Torino, iniziato il 13 maggio 1706, va inquadrato nella guerra che dal 1701 contrapponeva la Francia di Luigi XIV all’Impero d’Austria, per la successione spagnola.
«Scontri rabbiosi e mischie furibonde si susseguirono per tutto il giorno ma i Piemontesi ebbero la meglio.
L’esercito nemico, senza più un comando, perse la testa e migliaia di uomini, terrorizzati, si misero a correre in fuga nella maniera più spontanea e disordinata possibile – racconta Visca – Chi abbandonando cannoni, chi affogando nella Dora, chi inseguito da bande di contadini con la schiuma alla bocca e i forconi ben affilati.
Alcuni di questi sbandati giungono nei pressi del Castello dei Conti Vagnone ed intendono assalirlo per depredarlo.
A difesa vi è un semplice servitore il quale coraggiosamente si oppone ai francesi mettendoli in fuga salvando così le donne della famiglia Vagnone le sole ad essere presenti al castello in quel momento.
Questo gesto di coraggio costò a lui caro in quanto le ferite riportate durante lo scontro lo portarono alla morte. La leggenda vuole però che dopo la sua morte il suo spirito non volle abbandonare quelle mura. Dai tempi del fatto i Vagnone hanno sempre “sentito” e vantato la presenza dello spirito di questo servo, fedele fino al punto di dare la vita. Presente al loro fianco nei momenti più o meno belli della loro storia. Questo eroico salvatore non ha un nome – chiosa Visca – ma è ricordato per ciò che indossava al momento dello scontro ovvero l’abito distintivo in uso a quei tempi per la servitù delle famiglie nobili, caratterizzato, in questo caso da un giubbetto rosso: Ovvero “el giacòt ross” (in piemontese).
Questo nomignolo ha subìto nei tempi variazioni che lo hanno avvicinato al nome di battesimo Giacomo (Giacò, in piemontese) da giacòt ross a Giacò Tross. Mi raccontava una componente della famiglia che dopo la decisione di alienare il castello, mentre compivano un giro di visita con un possibile acquirente ha avuto la sensazione di essere trattenuta per un braccio ed una voce che pareva giungesse dall’oltre tomba le sussurrava; “Non vendete, non vendete, non lasciate Trofarello”. Immaginazione? Suggestione? Chissà?». Noi resteremo con la nostra figura leggendaria con la livrea rossa.