CENTRO – Serata di informazione, sabato 19 maggio, all’Oratorio Don Bosco, insieme alle famiglie del gruppo pastorale ed a tanti altri trofarellesi. Nella sala conferenze dell’oratorio, Don Sergio Fedrigo introduce l’incontro sui rischi del gioco d’azzardo, nella prima delle iniziative di Azzardiamo contro l’azzardo. «L’incontro, moderato da Emilia Tiso, la quale ha spiegato al pubblico numeroso gli intenti del gruppo Chiama &Vinci, organizzatore dell’evento, ha visto tre relatori che hanno accompagnato il pubblico a scoprire i numeri e i fatti, ma anche le testimonianze, su un fenomeno pericolosamente in crescita – spiega Tania Quercia – Davide Roccati, ricercatore, studioso dei rischi del gioco d’azzardo, si concentra sui numeri, quei grandi numeri che il nostro cervello non è nemmeno in grado di concepire e sui quali l’industria del gioco d’azzardo fonda le proprie strategie di condizionamento dei giocatori. Fa riflettere il pubblico sulla difficoltà di comprendere il calcolo delle probabilità, impiegando esempi immediatamente comprensibili, che inquadrano i grandi numeri all’interno di fatti alla portata della nostra esperienza quotidiana. Tra le statistiche, colpiscono i dati che mostrano lo stretto legame tra povertà economica e fragilità sociale e il diffondersi di punti di accesso ai giochi d’azzardo.
Ivan Raimondi, che lavora per gli uffici pastorali Caritas e Salute mentale, comincia proprio dalla connessione sempre più stretta che corre tra povertà e gioco d’azzardo e dipendenze in generale. Interconnessione che ha portato a coordinare il lavoro dei due uffici di cui fa parte, con l’obiettivo di fare sistema tra azione sui disagi psichici causati dalla dipendenza dal gioco e azione di sostegno economico. Raimondi, poi, spiega quali siano le fasi attraversate dal giocatore compulsivo che lo portano a perdere, nel tempo, tutto: famiglia, amici, patrimonio. – conclude la Quercia – E in queste fasi, ha riferito I. nella sua sentita testimonianza, si è perfettamente riconosciuto raccontando la sua esperienza di giocatore patologico, che ha trovato la forza di smettere grazie all’associazione Giocatori Anonimi Torino. I. ci ha parlato di una sua vera e propria “rinascita”, dopo venti anni di gioco.
E sulla “rinascita” ha portato a riflettere anche la conclusione di Emilia Tiso, che si sofferma sull’esperienza della dipendenza come malattia e non semplice vizio, da sostenere con l’ascolto e da non giudicare».