Cosa voteranno i 4 candidati sindaco al referendum di domenica prossima?
Anna Friscia è sostenitrice del Sì. «La cronaca di questi giorni ha messo in evidenza la collusione dei componenti governativi con le multinazionali petrolifere. Renzi & C. sono riusciti a svendere tutto ciò che gli altri predecessori non erano riusciti a fare. Questo Governo ha dato la possibilità alle piattaforme del petrolio e del gas, di sfruttare le risorse naturali (pubbliche) per tutta la vita utile del giacimento (prima era “solo” di 30 anni). E’ la prima volta che uno Stato concede a società private lo sfruttamento delle proprie risorse naturali senza specificare un termine temporale. Tutto cio in un contesto giuridico in cui le piattaforme italiane non devono produrre alcuna garanzia assicurativa in caso di incidenti, né sottostare alla normativa stringente della legge Seveso “Rischio di incidente rilevante” Ma non basta. Dal punto di vista economico lo Stato Italiano ha “svenduto” le proprie risorse naturali per un piatto di lenticchie. I petrolieri pagano una “aliquota di prodotto” annuale (royalty) irrisoria (il 7% per il petrolio contro il 37% della Germania). Come se non bastasse c’è una franchigia: per l’estrazione del petrolio,la normativa italiana prevede che le prime 50mila tonnellate estratte in mare siano esenti dal pagamento di aliquote. Stesso discorso vale per i primi 80 milioni di Smc di gas estratti in mare. Addirittura gratis le produzioni in regime di permesso di ricerca. In sostanza, se non si supera la franchigia, lo Stato Italiano non incassa un Euro. Ecco che le piattaforme si “fermano” sempre più spesso sotto la soglia della franchigia, diventando dei veri e propri ferrivecchi che non versano neppure un centesimo alle casse pubbliche. Una vera pacchia per i “poveri” petrolieri. Una vittoria del “Sì” al referendum eliminerebbe la concessione senza scadenze temporali, ripristinando la condizione precedente a dicembre 2015, con una durata di 30 anni più eventuali proroghe (e cioè fino a 50 anni totali). Il M5S voterà e inviterà a votare convintamente SI per la questione specifica e a tutela di un istituto di democrazia, il referendum, che in questi tempi bui si vorrebbe archiviare.
Gian Franco Visca: «Questo referendum non è un argomento che possa avere indicazioni di parte o di partito. Ognuno agisca senza preconcetti secondo coscienza e reale conoscenza».
Emilia Tiso ha espresso il desiderio di non pronunciarsi sulla questione
Marco Cavaletto:
Questo referendum è stato voluto da 9 Regioni, non dalla raccolta di milioni di firme. Il che significa, nella migliore delle ipotesi, da personale addetto alla politica: non più di 400 persone (sicuramente meno, pensando che nelle regioni interessate i consigli siano formati da non più di 50 consiglieri ciascuno, e considerando i voti contrari o nulli o bianchi.). Il fatto che alla base non vi siano comitati referendari (quelli che raccolgono il milione o il milione e mezzo di firme) è un elemento che pone questo referendum su un piano del tutto diverso rispetto a quelli votati in precedenza. Anche per il mancato effetto “mediatico”, di informazione, che appunto non c’è stato!
Sono quasi certo che nelle 9 regioni ci sia stato un dibattito approfondito sulle ragioni del sì e su quelle del no. Ma qui in Piemonte, per la ignavia complice di giornali e TV, il dibattito non è mai nemmeno partito.
Quindi in Italia abbiamo messo in cantiere un referendum che anziché produrre un risultato democratico altro non è che una sconfitta della democrazia diretta, sconfitta dalla incapacità della democrazia rappresentativa (gli eletti dal popolo, sia al governo, sia nelle regioni). Se non si raggiungerà il quorum il referendum non sarà valido, ma allora mi domando cosa si attenda a modificare la norma costituzionale che stabilisce un quorum minimo del 50%+1; penso sia opportuno in futuro battersi per rendere valido qualsiasi risultato si ottenga al referendum perché in questo modo gli elettori, i protagonisti della democrazia diretta, avrebbero comunque un risultato valido! E sono certo che la mobilitazione porterebbe alle urne la stessa percentuale di elettori che si ha in una competizione elettorale tradizionale.
La mattina del 17 aprile andrò a votare. Sono consapevole che il mio Paese è deficitario di materie prime come il petrolio, so bene che l’Italia dipende per l’approvvigionamento dai paesi arabi, ma ciò nonostante sono consapevole che il mio paese non stia facendo abbastanza per diminuire la dipendenza dall’estero di energia.
So di vivere in un paese fortunato perché ho giustamente detto di no al nucleare (sapendo però che la centrale nucleare dalla parti di Lione è a meno di 200 km di distanza, ma è Francia); eppure, sapendo tutto questo, ho un momento di incertezza su una considerazione: quanto è bello fare l’ecologista col petrolio degli altri!!!
Ciò nonostante voterò Sì perché sapendo che tutto ciò non servirà a nulla (penso che il quorum non si raggiungerà) un messaggio a Governo e Regioni dobbiamo mandarlo, pregando gli eletti dal popolo di trovare “sempre” rimedio a queste indecisioni perché se abbiamo votato senatori, deputati e consiglieri regionali un motivo ci sarà: è perché vogliamo che trovino un accordo a tutti i costi, esattamente come è avvenuto per gli altri quesiti referendari che sono caduti, appunto perché un accordo alla fine si è trovato.
Nel frattempo noi continueremo a comperare petrolio dagli arabi e il gas da Putin.
Non facciamo molto per diventare autosufficienti nella produzione di energie verdi perché in Italia diamo premi a chi produce energia con il mais, oppure diamo premi a chi mette pannelli fotovoltaici (regalando molto denaro a cinesi e tedeschi), mentre non ne diamo a chi produce energia a chi utilizza la risorsa forestale italiana per produrre biogas (che produrrebbe aumento di posti di lavoro nelle valli di manodopera locale).
Ma tutti questi concetti non ci stanno sulla scheda del 17 aprile. Ci sta solo un no o un sì.
Il Sì in questo caso vale un po’ più del no soltanto perché si trasmette un messaggio a governo e regioni con i quali ci raccomandiamo vivamente perché non vi siano più occasioni di questo genere.
Ogni volta che un referendum non raggiunge il quorum produce un danno grave all’istituto referendario e quindi alla democrazia. Siamo sicuri di poter ancora tirare la corda sulla nostra democrazia già così “debilitata”?