Giovetti, il poeta-operaio si racconta

Trofarello – Quella a Bruno Giovetti è stata un’intervista sui generis. Anzi, è stato un vero incontro poetico. Letteralmente e metaforicamente.

Per conoscere la sua storia è bastato ascoltarlo declamare i versi delle sue poesie che raccontano magistralmente gli incontri, i sentimenti, le amicizie e la vita di un uomo sinceramente innamorato dell’arte poetica. Nonostante l’abitudine alla presenza del pubblico, il cantore di Trofarello non nasconde la sua natura timida che ha imparato ad esorcizzare anche attraverso la partecipazione a diverse rievocazioni storiche, da quella torinese di San Giovanni all’investitura dei Conti Vagnone. Operaio, poeta e anche maschera.

Foto GiovettiHa da poco festeggiato 42 anni di lavoro in fabbrica. Come vive questo traguardo?
«Mi sento stanco. Tra una decina di mesi dovrei andare in pensione e potrò finalmente dedicarmi appieno a ciò amo, la poesia. È qui che trovo le mie vere soddisfazioni».

Quando è nata la sua passione per la poesia?
«Direi sui banchi di scuola. Sfortunatamente mi è sempre stato detto che scrivere poesie non mi avrebbe aiutato a “riempire la pancia”, così ho lasciato sopire per un po’ la mia passione. C’era chi sosteneva che scrivere componimenti fosse cosa da femminucce o innamorati, così ho smesso di coltivare questo interesse e ho cominciato a dedicarmi unicamente agli studi tecnici. Poi, intorno al 2000, ho realizzato di dover fare qualcosa che davvero mi piacesse».

Considera la poesia un hobby o una professione?
«La risposta più semplice e vera è che mi piace scrivere. Ho scritto un solo libro in vita mia, Radici in agrodolce che ho autoprodotto e regalato ai familiari. Non mi dispiacerebbe pubblicare qualche raccolta, ma lo farò una volta che sarò in pensione».

Ci sono dei luoghi o dei momenti che le danno maggiore ispirazione?
«Le mie poesie parlano della mia vita quotidiana; ne ho scritta una perfino sull’ Altissimo, la fabbrica di Moriondo che ha visto i miei inizi lavorativi e dove ho conosciuto mia moglie più di 35 anni fa. Ho l’abitudine di collezionare scontrini dove butto giù le idee che mi balenano in testa. Talvolta l’ispirazione mi viene sul posto di lavoro e allora non posso fare a meno di prendere appunti per non lasciarmi sfuggire l’idea».

Preferisce scrivere in italiano o in piemontese?
«Quando scrivo sul mio passato non posso fare a meno di usare il dialetto, mentre quando parlo di sentimenti preferisco farlo in italiano. Un volta credevo che le poesie piemontesi avessero qualcosa di rude; invece, leggendo Nino Costa, mi sono ricreduto. Anche noi sappiamo parlare d’amore».

Tra una domanda e l’altra, in quella che sembra più una conversazione tra vecchi amici davanti ad un caffè, Giovetti mi delizia declamando alcuni fra i suoi componimenti, spaziando con disinvoltura da quello dedicato al “Grande Torino”, fino ai versi scritti per la macelleria Mascherpa, passando per quelle dedicate alla moglie.

Premi GiovettiHa ricevuto molti riconoscimenti per i suoi componimenti.
«Ho vinto diversi premi, ma ultimamente non partecipo più ai concorsi. Agli inizi, quando ho cominciando ad affacciarmi al mondo della poesia, è stato ovviamente gratificante ricevere dei riconoscimenti, poi, andando avanti, mi sono detto “mi riconosco da me e questo mi basta”. Ciò che veramente mi colpisce è il silenzio delle persone che mi ascoltano e i loro piccoli gesti di approvazione verso ciò che sto leggendo: lì capisco che quello che sto raccontando, è stato provato anche da qualcun altro, anche se in una diversa situazione. Non c’è niente di più bello e gratificante della sensazione di quell’istante».

Penso che il modo migliore per concludere questa piacevole chiaccherata sia riportare qui di seguito i versi di una delle poesie a cui Giovetti è particolarmente legato:

Tra sorsi e discorsi
trovarsi
nella luce del mattino
su un dito di zucchero
in fondo a un caffè
a ripassare una vita
sulla punta di un cucchiaino
raccontarsi
a gola piena
e ridere e sorridere
dei sogni rimasti
di te, di me
che ancora mi nascondo
nella foto di un figlio…

sparare un consiglio
e ridere, ridere
sino alla lacrime
del tempo che passa
che non passa in un’ora
che non muore in un addio…

paghi tu, pago io
facciamo a metà
anzi, meglio
lasciamo un sospeso
a un incontro tra amici
su un sogno rappreso
in fondo
a un caffè..

Che dici..?

E voi che ne dite?

Federica De Marco

 

 

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