Francesca
Iniziamo male, pensò Francesca con un malcelato senso di fastidio. Nonostante la pigrizia aveva spaccato il secondo, come di consueto, presentandosi puntualissima all’appuntamento alla Rodari.
Peccato che non altrettanto avesse fatto Giulio, l’architetto che si era unito a lei nella corsa alle elezioni.
Ore otto, sms: “sono in ritardo scusa”. Così, rapido e conciso.
Non che fosse persona che amasse dilungarsi in conversazioni virtuali, però se con quel sms si fosse almeno degnato di specificare quanto in ritardo, sicuramente il suo umore non ne avrebbe risentito così tanto.
Prese un appunto mentale: se hai un appuntamento con Giulio mandagli sempre un promemoria.
O mettiti l’anima in pace. Inutile irritarsi ulteriormente.
Non restava che aspettare il suo arrivo ed approfittare di questi minuti per guardarsi intorno, da sola, prima di indossare la maschera professionale adatta all’occasione.
Fece un giro tutto intorno. Stupefacente.
Tutto diverso, tutto completamente diverso.
Certo, lo sapeva. Certo era già passata di lì molte volte dal suo ritorno. Ma osservare davvero, con calma, no, questo
non lo aveva ancora fatto.
Bella la nuova scuola. Ottime potenzialità. Avrebbe visto bene l’inserimento di una aula magna, multifunzionale, atta anche ad accogliere rappresentazioni teatrali, musica, spettacoli. Un nuovo appunto mentale: approfondire sviluppi funzionali della Rodari. Fatto. Il cassetto di idee dedicato a Trofarello cominciava a riempirsi.
Ecco l’area che sarebbe diventata giardino. Proprio lì, molti anni prima, trascorreva il suo tempo di alunna, in un’aula che le sembrava quasi di vedere, evanescente come un fantasma.
Il ricordo la colse d’improvviso, immagini e sensazioni saltate fuori da chissà quale cassetto dimenticato della sua mente, sempre così ordinata.
… aula, corridoio… anzi no, aula-corridoio… non si distinguevano quasi… disegni alle pareti… tutti i giubbotti in fondo all’aula. Maestraaa!? Lui mi fa i dispetti!… maestraaaa, ho dimenticato la merenda!… il banco, l’ultimo, attaccato alla finestra. Grembiule, meno male, mi sono sporcata tutta di colla, la mamma si arrabbierà. E questo? cos’è questo? un fiorellino… tvtbbbb Enri. Che emozione… le mie compagne moriranno d’invidia.
Enrico. Da quanto tempo non ripensava iù a lui? Anni?
I cassetti stamattina non volevano proprio restare al loro posto. Un momento prima era a Trofarello, oggi. Un momento dopo aveva dieci anni e il cuore batteva forte. Il tempo di un soffio e aveva di nuovo vent’anni, e guardava Enrico salire sul suo stesso treno. Enrico…
– “Francesca? Hei Francesca, tutto bene? Sei pallida”
– “Ah Giulio, alla buon’ora! Pensavo non arrivassi più. Certo che sto bene, intirizzita ed irritata, ma di questo parleremo
dopo. Adesso sbrigati, siamo spaventosamente in ritardo!”
Enrico
A lla fine la mattinata aveva portato consiglio. Altro che la notte, come in genere si dice, dove o ti arrovelli
senza cavare un ragno dal buco o, vinto dalla stanchezza, dormi senza proprio pensare.
A lui qualche ora seduto comodamente sul divano ascoltando la musica giusta – musica per meditare che gli arrivava diritta all’anima, che rimetteva a posto il disordine che aveva dentro – aveva sempre aggiustato le cose.
Intendiamoci, quelle che si potevano aggiustare.
Ma questa era una cosa nuova. Un ritorno inaspettato, una ferita rimasta aperta a sanguinare per anni che, pian piano, si era portata via voglie, energia, fiducia nell’amore. Quelle ferite che credi chiuse dopo un po’ di tempo – dopo molto tempo – e di cui parli con gli amici come un qualcosa di “passato ormai” e che invece silenziosamente, inesorabilmente continuano a sanguinare.
Ma forse se non ci si pensa la ferita non c’è, non fa male, e se c’è è chiusa ormai. Del resto non esiste una dottrina che dice che se le cose non sono pensate non esistono?
Ecco, quel giorno non voleva pensare più a ricordi e ferite. Così non sarebbero esistiti, pensava Enrico.
Era arrivato in ufficio in treno nel primo pomeriggio. Aveva avvisato la segretaria che ora stava meglio e sarebbe passato per qualche ora. Sabrina, la sua collega, lo aveva salutato con coinvolgimento, con trasporto e convinzione quasi fosse davvero contenta di rivederlo anche quel giorno. E quando Sabrina ti salutava ti faceva davvero piacere: con quegli occhi chiari che ti ricordavano acque limpide di mari tropicali che si vedono solo in cartolina e sui cataloghi delle agenzie di viaggio e quel sorriso che faceva splendere il sole anche di notte, anche in pieno inverno.
“Enrico, ha chiamato il signor Rinaldi, l’ex preside per un aggiornamento sulla sua situazione finanziaria. Dice che avrebbe della liquidità da investire a breve.” Ah sì… Rinaldi. Una vita di risparmi, un conto per godersi una pensione felice e degli ottimi investimenti. Non per niente aveva scelto lui come promotore che nella sua carriera ne aveva azzeccati di colpi vincenti.
Come le Apple fatte comperare a 48 dollari che ora ne valevano oltre 120.
Una vita da preside dedicata alla scuola.
La scuola. Quella stessa scuola in cui ci portavano fuori mano nella mano, due a due. In cui io non avevo mai dubbi su chi andare a cercare. E quando Francesca era malata aspettavo e, una volta formate le coppie, stavo dietro a tutti, spaiato.
Quei giorni di sole a giocare felici. Quel fiorellino trovato tra le crepe del cemento.
Coglierlo o non coglierlo? Se l’avessi colto sarebbe morto. Ma se l’avessi colto per lei? Sarebbe rinato nell’Amore? Quel fiorellino portato quasi con discrezione.
Chissà cosa avrebbero detto i miei compagni…
“Enrico, stai bene? Allora che dici, lo chiami Rinaldi?” Sabrina lo destò bruscamente dai suoi sogni solo per ributtarlo, incrociando i suoi occhi, in altri sogni diversi.
Il pensare alla scuola lo aveva riportato indietro di così tanti anni…
E i pensieri ricominciano a fluire, i ricordi a riaffiorare, le ferite a sanguinare.