Centro – La storia, quella dei libri, può risultare noiosa. Ma scoprire che esiste una parte di storia che è stata pressoché ignorata dai libri, per decenni, e sentirla raccontare dalla voce di un diretto protagonista, è una emozione che non può che lasciare il segno.
Questa opportunità sarà offerta ai trofarellesi venerdì 20 febbraio, alle 17,30, presso il centro culturale Marzanati, con la presentazione del libro “10 febbraio 1947 fuga dall’Istria”.
Abbiamo incontrato l’autore, Tito Delton, per saperne di più.
Ci parli del suo libro, è autobiografico?
«Il libro narra la storia di una famiglia originaria di Pola, costretta a scappare nel periodo post bellico. C’è molto di autobiografico. La mia famiglia, come tante – troppe altre – è stata costretta alla fuga, lasciando tutto dietro di sé, pur di scampare al massacro operato dagli slavi. è una trasposizione di fatti realmente accaduti, con l’ausilio di personaggi inventati. All’epoca io avevo solo cinque anni, ma in questo libro c’è molto dei racconti di mia sorella, che essendo più grande ha vissuto in pieno il trauma della fuga e ne ha conservato il ricordo per tutta la vita».
Una storia poco conosciuta quella dell’esodo degli italiani dall’Istria. Ci aiuta con qualche riferimento storico?
«Non stupisce affatto che sia necessario dare qualche informazione storica. Quel periodo buio, tremendo, che ha interessato migliaia di italiani, è incredibilmente poco conosciuto. L’Istria è stata l’unica terra fedele a Venezia da quanto è nata. Ha dunque un legame fortissimo con l’Italia. Nel 1943 fu occupata dai tedeschi, per poi essere liberata dall’armata jugoslava di Tito, grazie alla resistenza, congiunta, slava e italiana. Purtroppo Tito mise immediatamente in atto una politica di durissima persecuzione ai danni della popolazione italiana. Come dimenticare i massacri delle foibe? Morirono almeno 20.000 persone, tra questi mio zio. Questo spinse l’etnia italiana a scappare dall’Istria, dando vita ad un vero e proprio esodo. Dal ’45 al ’55, siamo fuggiti in quasi quattrocentomila dal comunismo slavo».
Ci racconta la vostra fuga?
«Io, mia madre e mia sorella siamo fuggiti con un carretto. Ci furono rubate le borse, nelle quali avevamo stipato le poche cose che avevamo portato via con noi. Una motonave per il tratto Pola – Trieste, per poi arrivare, dopo mille peripezie, a Torino. Mio padre purtroppo era già stato catturato e torturato dagli slavi. Salvato da un partigiano, era arrivato a Trieste, prima che noi lasciassimo l’Istria, ma morì poco dopo a causa delle sevizie subite. A quei tempi anche la comunicazione era una chimera. Venimmo a conoscenza della sua scomparsa solo tre giorni dopo».
Come furono accolti i profughi in Italia?
«L’accoglienza fu – si commuove – terribile. Furono predisposti 109 campi di raccolta in tutta la penisola. Torino ospitava il più grande, le “casermette di Borgo San Paolo”. Erano strutture gestite dai Comuni, a carattere provvisorio. Non era possibile, per esempio, prendervi la residenza, e così i più “fortunati”, come la mia famiglia, che avevano trovato un’abitazione stabile, offrivano fittiziamente la residenza ad altri profughi. Nella stamberga in cui abitavamo siamo arrivati a risultare essere in 35… Sono stati anni terribili. Scappavamo da un regime dittatoriale, verso quella che sentivamo essere la nostra Patria. Ma abbiamo trovato una grande indifferenza nei nostri confronti. Indifferenza e cattiveria, sostanzialmente dovuta ad ignoranza. Ricordo un episodio che rende bene l’idea del clima. Mia cugina, che mi ha cresciuto come una seconda mamma, in una occasione è stata minacciata di essere portata al campo di accoglienza per essere “fatta mangiare dai profughi”».
Le foibe, l’esodo. Il suo libro narra una storia sconosciuta ai più.
«Dopo decenni di oblio, il ricordo comincia ad affiorare. Dal 2005 è stato, finalmente, previsto il Giorno del Ricordo. Le foibe non sono più un evento del tutto sconosciuto. Pensi – aggiunge con dolorosa ironia – adesso ci sono persino due libri di storia scolastica che ne parlano, dedicando ben sette righe agli avvenimenti».
E’ difficile tradurre in parole le sensazioni che Delton trasmette quando parla della sua storia.
Libraio per tutta la vita, giornalista, è al suo nono libro, ma per la prima volta affronta il passato della sua gente, e lo fa con passione, spesso intrisa di commozione. Rabbia per quello che i giuliani hanno subito, sconforto per l’oblio e l’indifferenza. Ma grande amore, sempre e comunque, per l’Italia e la sua Istria.
Il tempo non cancella le ferite di chi ha perso tutto, di chi ha subito di tutto. Il ricordo di questa tragedia non deve essere cancellato.
Appuntamento dunque al Marzanati per scoprire questo libro e il suo autore, per imparare qualcosa di più della sua amara storia, che è parte della storia di tutti noi.
Sandra Pennacini